RIPRISTINARE LE FUNZIONI DEL PARLAMENTO
Anche se ancora non ci è dato di conoscere con certezza le origini e i trattamenti sanitari utili a prevenire la malattia che inopinatamente si è insinuata nelle nostre vite, ne sono già evidenti gli effetti che, è certo, sopravviveranno alla loro causa.
Per quanto i segnali di questi giorni suscitino disorientamento e non di rado una sensazione di avvilimento, dobbiamo affrontare il futuro con la consapevolezza dei rischi, ma anche con forte risolutezza nel cogliere le opportunità che questo momento infausto può offrire.
Tra i rischi bisogna considerare innanzi tutto quello della memoria selettiva, una istintiva difesa umana per mitigare i ricordi dolorosi. L’oblio che diviene necessario alla vita quando prevale la convinzione che la protezione della stessa debba essere fatalmente rimessa alla casualità. Una condizione culturale regressiva, analoga a quella del passato quando, in assenza di terapie, le epidemie venivano considerate con rassegnazione e talvolta come un proposito punitivo superiore.
Non potendo rassegnarci alla metafisica numerologica della bisestilità dell’anno in corso, è prioritario avversare questa opinione documentando la straordinarietà della malattia anche per confutare, con convincenti argomentazione scientifiche, le non poche perplessità suscitate dalla circostanza che per combatterla, nel secondo decennio del 2020, siano stati utilizzati metodi terapeutici risalenti al quattordicesimo secolo. Non si tratta di questioni di poco conto poiché una loro sottovalutazione o semplicemente una criptica comunicazione da parte delle autorità, in primo luogo quelle sanitarie, minerebbe la credibilità della tecnica e della scienza che, soprattutto a partire dalla metà del secolo scorso, hanno salvato milioni di persone.
Una ulteriore tematica è quella relativa ai variegati provvedimenti legislativi che a cominciare da quello governativo del 31 gennaio scorso, con il quale è stato dichiarato lo stato di emergenza, fino ai numerosi decreti legge, delibere del Consiglio dei ministri, ordinanze del Dipartimento della Protezione civile, dell’istituto Superiore della Sanità, del ministro della Salute, nonché quelle delle Regioni e dei Comuni, hanno alimentato la già diffusa opinione di marginalità del Parlamento. Un quadro inasprito dagli ormai famosi Dpcm, con i quali sono state introdotte ferree misure restrittive, malgrado si tratti di disposizioni escluse dal controllo del Parlamento ma anche da quello del Presidente della Repubblica e della Corte Costituzionale.
Ciò nonostante, sarebbe ingiusto non considerare che il nostro Paese si è trovato ad affrontare una situazione inedita e peraltro priva di specifica regolamentazione, posto che anche a livello costituzionale non è contemplato lo stato di emergenza. Sarebbe altresì iniquo non rammentare che la compressione dei diritti è stata più volte legittimata da interventi della Corte Costituzionale che nei momenti di crisi economica, non ha mancato di evocare, per l’appunto, lo stato emergenziale per giustificare la sospensione di alcune importanti garanzie costituzionali; talvolta con motivazioni dogmatiche fondate sulla straordinarietà e urgenza del periodo.
E, a proposito di opportunità, quale occasione migliore per riordinare, semmai anche con delle abolizioni, i tanti enti pubblici (in Italia sono 2.199) che, in aggiunta alle Regioni, Provincie e Comuni debordano nel nostro Paese. Ma è anche il momento giusto per ripristinare, nella loro pienezza, le funzioni del Parlamento la cui esclusione è stata implicitamente accettata sul presupposto della diffusa percezione di inconsistenza dello stesso. Tuttavia, ferma la necessità di utilizzare gli strumenti legislativi con maggiore parsimonia, il reiterarsi delle situazioni di emergenza, ora principalmente sanitarie ma in prospettiva economiche e sociali, è imprescindibile elaborare strategie di lungo periodo e decisioni politiche in grado di contrastarle. Per queste ragioni, ma anche per le scelte di un modello culturale e legislativo ispirato alle nuove esigenze, non è possibile prescindere da un adeguato rapporto tra Parlamento e Governo, l’unico che può garantire un aggancio costituzionale con il principio di solidarietà.
Ovviamente con una rinnovata angolazione ideologica che, restando in linea con quello dei Padri costituenti, interpreti il sostantivo nel senso che ogni persona, in quanto membro di una comunità, deve adempiere gli obblighi imposti dalla Stato con spirito di socialità al di là del calcolo utilitaristico, nella piena consapevolezza della possibile, anche se temporanea, rinuncia a sacrosanti diritti.