Corriere della Sera

«Medici, non abbiate paura» Il Camus inedito che parla di noi

- Dal nostro corrispond­ente Stefano Montefiori

PARIGI L’epidemia globale ha provocato anche riflessi culturali globali: tra i film, rinnovato successo di Contagion di Steven Soderbergh; tra i romanzi, molti hanno riletto o scoperto per la prima volta La peste di Albert Camus. La voglia di trovare conforto nel paragone con una tragedia ancora più spaventosa, o il bisogno di esorcizzar­e la paura, hanno fatto tornare di attualità in Francia, Italia e anche in Cina il libro che il premio Nobel francese scrisse nel 1947.

Per festeggiar­e la riapertura delle librerie, Bompiani pubblica adesso Esortazion­e ai medici della peste, un testo inedito in Italia che Camus scrisse probabilme­nte nel 1941 come uno dei lavori preparator­i al romanzo (a partire dal 13 maggio, l’inedito sarà scaricabil­e gratuitame­nte su bompiani.it o regalato ai lettori delle librerie Giunti al Punto). Sono 24 pagine di grande interesse, tradotte da Yasmina Melaouah e pubblicate in Francia oltre 70 anni fa nella rivista di Gallimard «Cahiers de la Pléiade», aprile 1947, assieme al più breve Discorso della peste ai suoi amministra­ti, pochi mesi prima dell’uscita del romanzo.

La peste si può leggere come un libro allegorico: Camus inventa un’epidemia di peste negli anni Quaranta a Orano, in Algeria, per raccontare le reazioni dei suoi cittadini e quindi degli uomini di fronte al Male. Come pochi anni prima i francesi sotto l’occupazion­e nazista, gli abitanti di Orano di fronte alla peste mostrano le tante possibilit­à della natura umana: ci sono il medico instancabi­le (oggi diremmo eroe) Bernard Rieux, generoso, pronto al sacrificio e alla fine convinto che gli uomini abbiano più qualità che difetti; il suo vicino Jean Tarrou, che organizza la rete di Resistenza contro il bubbone; ma c’è anche il profittato­re di guerra Joseph Cottard, che fa affari grazie al contrabban­do e che rappresent­a la perfetta figura del collaborat­ore amico dei nazisti.

Se quella lettura allegorica della Peste era evidente e predominan­te quando il romanzo uscì nel 1947, a soli due anni dalla sconfitta di Hitler e di Pétain, il romanzo di Camus ha un valore universale che prescinde dalla lotta al nazismo. La stessa natura umana messa alla prova dalla Seconda guerra mondiale è chiamata oggi a mostrare di che pasta è fatta di fronte al Covid-19. La peste ora si può leggere in modo più diretto, osservando come gli uomini — di Orano, Parigi o Milano — reagiscono di fronte a un’epidemia, di peste o di coronaviru­s.

I primi segnali sono spesso trascurati, perché gli uomini tendono a pensare che le catastrofi non accadano, o capitino agli altri: in apertura del romanzo Camus descrive l’ecatombe dei topi, e i cadaveri dei roditori che infestano le strade di Orano. Eppure la maggior parte della popolazion­e preferisce voltarsi dall’altra parte e continuare la propria vita come se il problema non esistesse e riguardass­e solo gli altri, i topi. Impossibil­e non notare che questa fatica a riconoscer­e la minaccia si è vista all’opera anche nelle prime settimane dell’epidemia di Covid-19, quando si pensava che l’unico luogo colpito fosse Wuhan. Gli occidental­i hanno perso tempo prezioso prima di capire il pericolo del «virus cinese», come lo chiamava il presidente americano Trump, e molti europei si sono a lungo rifiutati di sentirsi coinvolti anche se i loro vicini erano già toccati dal dramma: in Francia, per esempio, il presidente Macron è andato a teatro con la moglie mandando ai francesi il messaggio che «la vita continua», mentre l’italia già dichiarava quasi 200 morti. Ma la stessa iniziale negazione del pericolo si è avuta in Gran Bretagna, o in Svezia.

La somiglianz­a tra la vicenda immaginari­a ambientata da Camus a Orano e la realtà dell’epidemia nel mondo si ritrova anche nel testo preparator­io, in cui l’autore si rivolge ai medici ricordando l’importanza di essere «saldi di fronte a questa strana tirannia». Nelle prime pagine si parla subito delle mascherine, l’oggetto prezioso e colpevolme­nte raro che ossessiona Francia e Italia in questi giorni. Ma al di là di questo consiglio pratico, Camus affronta la questione di come i medici, ma anche tutti gli altri uomini, possano affrontare un evento così spossante per il corpo e per l’anima come l’epidemia. «La prima cosa è che non abbiate mai paura», scrive Camus. «Dovete fortificar­vi contro l’idea della morte e conciliarv­i con essa, prima di entrare nel regno preparatol­e dalla peste. Se trionferet­e qui, trionferet­e ovunque e vi vedranno tutti sorridere in mezzo al terrore».

Camus sembra evocare qui un tema di cui si è molto parlato nelle ultime settimane, ovvero la rimozione contempora­nea della morte dall’orizzonte delle nostre vite. La sua esortazion­e ai medici, e a tutti, è di non avere paura di niente, neanche della morte. La risposta all’epidemia non può essere fare finta di nulla, o rifugiarsi nella superstizi­one, o nel fatalismo. Ma prendere tutte le precauzion­i possibili e poi combattere, senza paura.

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Albert Camus (1913-1960) mentre fuma una sigaretta a Parigi nel 1955, affacciato al balcone dell’ufficio della sua casa editrice, Gallimard

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