L’ARTE DEI MOTORI
GRANDI MARCHI, SAPERI ANTICHI E INNOVAZIONE CONTRO IL VIRUS
Una rete di microcompetenze che da sole non potrebbero conquistare il mondo e così vanno dappertutto
Offerta formativa (pubblica) al top: nove ragazzi su dieci escono con 110 e lode e subito trovano lavoro
L’appuntamento La pandemia non ferma il Motor Valley Fest, ora in digitale dal 14 maggio. Specchio di un territorio, tra Parma e Rimini, che si è assicurato il futuro con un ateneo di talenti
Per spiegare che cos’è la Motor Valley, Andrea Pontremoli racconta una storia. Ma prima di riferirla, la storia, occorre dire chi è Andrea Pontremoli. Nato in un sobborgo di Boston nel 1957 e trasferitosi all’età di 6 anni a Bardi, vicino a Parma, il paese del padre, è stato presidente di Ibm Italia e oggi è socio e Ad di Dallara Automobili. Uno dei brand della Motor Valley su cui non tramonta mai il sole, visto che le sue specialità (carbonio, aerodinamica, dinamica del veicolo) sono ricercate in tutto il mondo.
Veniamo alla storia. Quando Enzo Ferrari metteva sotto esame un pilota, lo faceva guidare fino a un’osteria di Sasso Marconi. L’oste aveva due figli e al momento di dare a essi un futuro ne parlò al Drake: al primo avrebbe lasciato il ristorante, ma sul secondo non aveva le idee chiare. Ci pensò Ferrari: ho bisogno di un fornitore di impianti elettrici, fallo studiare da perito. Così fu. Nacque una piccola azienda, che oggi è rimasta piccola ed è pure difficile da scovare a Serramazzoni (Modena), ma nel giro delle auto sportive è un mito. Si chiama Lapunta: fa cablaggi elettrici. Anche il nome lo diede Ferrari: perché la punta di vitello come la fai te non la fa nessuno...
Pancia e testa. Fame e intelligenza. Passione e impresa. Eccola qui quella che un tempo era la tera de’ mutor e oggi è la Motor Valley. Un territorio
che corre da Parma a Rimini, con 16.500 aziende, 66mila addetti e un export di 5 miliardi l’anno. «Una rete di micro-competenze che da sole non potrebbero conquistare il mondo — spiega Pontremoli —, mentre legate ai capifiliera arrivano dappertutto».
Lo squadrone-che-tremare-il-mondo-fa (come si diceva una volta del Bologna) mette spalla a spalla 4 autodromi, 6 marchi da vertigine (Ferrari, Lamborghini, Dallara, Pagani,
Maserati, Ducati), 11 musei, 19 collezioni private, 188 team e un’università super specialistica. A gestire questo genius loci corale e iperattivo è un’associazione no profit, la Motor Valley Development. La politica regionale? Miracolo: asseconda, anziché frenare.
Il lockdown si è abbattuto come un meteorite anche qui: in Dallara (650 dipendenti) stimano un -30/40% di fatturato; in Ferrari (4.500 dipendenti, 3,7 miliardi di fatturato, 10.131 auto prodotte nel 2019) c’è un vuoto di 2mila macchine; la Lamborghini è stata la prima a sospendere l’attività («Misura presa — spiega Stefano Domenicali, chairman e ceo dell’azienda — come atto di responsabilità nei confronti delle nostre 1.800 persone»). Ma ora si riparte: per dire, proprio la Lamborghini all’alba della Fase 2 lancia la nuova Huracàn Evo Rwo Spyder.
Se aziende, piste e musei si sono fermati, i professori Francesco Leali e Riccardo Rovatti non hanno mai perso il contatto — nelle aule virtuali — con i loro studenti. Insegnano alla Muner: Motorvehicle University of Emilia Romagna. Nata nel 2017, propone due percorsi di laurea magistrale internazionale: meccanica (Leali) ed elettronica (Rovatti). Da settembre se ne aggiungerà un terzo: i veicoli elettrici. In vista c’è la laurea in guida autonoma.
«L’idea è di specializzare l’offerta formativa d’intesa con le aziende — spiega Rovatti —. Didattica e applicazione sono intrecciate». Entrare non è facile: numero chiuso (150 posti), media del 95/110 nella triennale, B2 di inglese. «Ma poi ci sono i colloqui — aggiunge Rovatti —. Perché vogliamo i più motivati». «Quelli con le ruote al posto delle gambe», scherza Leali. Le lezioni sono cominciate nel 2017 con 64 studenti, per l’anno in corso sono 127. Tutti italiani all’inizio. Poi sono arrivati dall’estero. L’università è pubblica (meno di 3.000 euro l’anno, contro i 60/80 mila dollari di un anno a Stanford), nove su dieci escono con 110 e lode (il decimo con 110), il lavoro c’è. Le società se li strappano. «Dei 9 entrati in Ferrari per lo stage della tesi — conferma Leonardo Guglielmetti, responsabile della Scuola dei mestieri di Maranello — tre ce li siamo tenuti in azienda». Tutti ragazzi per i quali «la fortuna non esiste» e «la macchina migliore è quella ancora da costruire» (da loro). Come diceva Ferrari.