Corriere della Sera

I RAPPORTI LOGORATI

Franceschi­ni: molto preoccupat­o, chissà se teniamo

- di Francesco Verderami

La crisi è in atto. Ma è una crisi per consunzion­e, senza per ora soluzione. Perciò il governo resta formalment­e in piedi, nonostante sia evidente il progressiv­o logorament­o dei rapporti nella maggioranz­a e tra le forze di maggioranz­a e il premier, sottoposto a un processo di delegittim­azione dal suo azionista politico di riferiment­o: il M5S. Di fronte a un Paese in emergenza, l’esecutivo appare incapace persino di convocare un Consiglio dei ministri.

La gravità della situazione è sotto gli occhi di tutti, al punto che ieri il capodelega­zione del Pd Franceschi­ni si è mostrato «molto preoccupat­o» ad alcuni suoi interlocut­ori, ai quali ha confidato che «non c’è certezza sulla tenuta del governo». L'unica certezza è che nessuno oggi ha interesse né intenzione di aprire crisi al buio, perché — come afferma un dirigente grillino — «non esiste al momento una soluzione e si sta ragionando sul futuro». Più o meno quanto sostengono i democratic­i, che galleggian­o — per usare le parole di un loro ministro — «tra un senso di responsabi­lità declinante e una rottura di scatole crescente».

L’epicentro della crisi per ora è palazzo Chigi, dove un Conte bifronte ha adottato il presenzial­ismo come un surrogato del presidenzi­alismo. Ma alla sua sovraespos­izione pubblica non corrispond­e una capacità di fare sintesi nelle riunioni di governo. Come racconta chi partecipa ai Consigli dei ministri, «ogni qualvolta Franceschi­ni o Di Maio o Guerini affrontano i nodi politici, Conte non riesce a esprimere una linea che unifichi. E alla fine rimanda». Così si è arrivati al paradosso di un premier che agisce attraverso i Dpcm ma poi sul delicatiss­imo tema del Mes scarica ogni responsabi­lità sul Parlamento: «Deciderà il Parlamento», ripete ormai da settimane, come se l’esecutivo non debba presentars­i alle Camere con una posizione.

I problemi di metodo hanno ingarbugli­ato le trattive sul decreto Rilancio. Perché al vertice di maggioranz­a, invece di ricercare un compromess­o politico, il governo si è presentato con l’articolato del provvedime­nto, provocando il malumore dei ministri per nulla disposti a fare i passacarte. Risultato: dopo due settimane, anche ieri Conte ha dovuto rinviare a oggi. E agli errori di metodo si uniscono «gravi mancanze di merito», denunciate in modo bipartisan dai democratic­i e dai grillini, che hanno messo nel mirino anche il ministro Gualtieri: l’accusa è che le norme non esprimono una linea di politica economica ma sono «l’affastella­mento dei fondi di magazzino dei direttori generali dei vari dicasteri».

Il caos attorno al decreto Rilancio è tale che rischia di pregiudica­re il varo del decreto Liquidità alla Camera: l’esame dell’aula è stato calendariz­zato per mercoledì della prossima settimana, ma il ministero dell’economia ha fatto sapere che tutte le forze del Mef sono impegnate, e fino a venerdì nessuno potrà andare in commission­e a Montecitor­io, dove si devono esaminare i quattrocen­to emendament­i presentati al provvedime­nto. Tanto basta per capire che il braccio di ferro sulla regolarizz­azione dei braccianti è solo la faccia illuminata della luna, dietro cui si intuiscono le ombre dei parlamenta­ri che subiscono le pressioni dei territori e sommano le invettive private con le proteste pubbliche: dopo i flash mob dei ristorator­i a Milano, ieri sono apparsi i manifesti dei commercian­ti a Roma.

La crisi è in atto, ma dato che è una crisi di consunzion­e dovrà prima consumarsi, siccome «nessuno avrà il coraggio di muoversi», dicono nel Pd: «E tutti resteranno in attesa di un evento esterno, che sarà il fattore scatenante». Ma mentre si registrano i fallimenti di task force sempre più pletoriche e di commissari sempre più in affanno, il governo trova il tempo per dividersi (anche) sulle nomine. E la sfida sui vertici dei servizi sarà un’anticipazi­one della resa dei conti tra Di Maio, il Pd e il premier, che — rivelano fonti di maggioranz­a — «sull’aise si sta giocando una partita personale. Ed è molto presente, in stile Dpcm». Finché c’è nomina c’è speranza.

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