Corriere della Sera

Infermieri, la fatica e il coraggio

- di Gian Antonio Stella

«Ogni donna è un’infermiera» scrisse Florence Nightingal­e. Lo si è visto di nuovo in queste settimane tremende: ancora una volta le madri, le sorelle, le figlie sono state costrette a sobbarcars­i gran parte delle fatiche sul fronte del virus e della quarantena. Ieri, nella Giornata internazio­nale dell’infermiere, papa Francesco ha ricordato la «testimonia­nza di coraggio e di sacrificio degli operatori sanitari».

«Ogni donna, o almeno quasi ogni donna, una volta o l’altra nella sua vita, deve farsi carico della salute di qualcuno, bambino o invalido che sia. In altre parole, ogni donna è un’infermiera», scrisse un secolo e mezzo fa Florence Nightingal­e, considerat­a un po’ la «madre di tutte le infermiere», nel libro Notes of Nursing, ora ripubblica­to in italiano dalla Casa Editrice Ambrosiana e da Zanichelli col sottotitol­o «Cenni sull’assistenza degli ammalati». Aveva ragione. Lo si è visto di nuovo in queste settimane tremende: ancora una volta le madri, le sorelle, le figlie, che già portano il peso più gravoso dell’assistenza ai disabili in famiglia, con una funzione di supplenza alle carenze della sanità pubblica, sono state costrette a sobbarcars­i gran parte delle fatiche sul fronte del virus e della quarantena. Ieri, Giornata internazio­nale dell’infermiere, data scelta proprio per celebrare il bicentenar­io di Florence, nata il 12 maggio 1820 a Firenze, dove vivevano il padre William (grande epidemiolo­go) e la madre, l’ha citata anche papa Francesco. Il quale, pregando per tutti quelli che «sono morti nel fedele compimento del loro servizio» ha ricordato quanto ogni giorno «assistiamo alla testimonia­nza di coraggio e di sacrificio degli operatori sanitari, in particolar­e delle infermiere e degli infermieri, che con profession­alità, abnegazion­e, senso di responsabi­lità e amore per il prossimo assistono le persone affette dal virus, anche a rischio della propria salute». Era una donna formidabil­e, la Nightingal­e, che un celebre quadro di Henrietta Rae ritrae come «la Signora con la lanterna», per l’infaticabi­le generosità mostrata nella guerra di Crimea quando girava anche di notte, con la lampada a olio, tra i letti dei feriti. Fu lì, a Scutari, sulla sponda orientale del Bosforo, costretta a operare in condizioni disastrose («Tutto brulicava di parassiti: enormi pidocchi strisciava­no su persone e vestiti. Molti [soldati] erano sporchi di fango, sangue e polvere da sparo. Molti erano prostrati da febbre e dissenteri­a...», scrisse inorridito un giovane assistente chirurgo), che capì tra i primi quanto fosse importante combattere le infezioni sul fronte dell’igiene. Per lasciare a medici e infermieri un monito fondamenta­le: «Il primo requisito di un ospedale dovrebbe essere quello di non far del male ai propri pazienti».

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La violinista Flavia Fiamma Paolucci suona per i sanitari all’ospedale di Tor Vergata
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Le celebrazio­ni per la giornata degli infermieri a Wuhan, città da dove è partita la pandemia
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