Mascherine, duello Arcuri-regioni Il prezzo calmierato resta un rebus
In arrivo l’accordo con i tabaccai per la distribuzione Manca il materiale per produrre i presidi chirurgici La proposta alternativa del Politecnico di Torino
Sono tanti i punti di vista possibili per capire come la fase 2 continui a zoppicare. Uno dei migliori, però, resta quello delle mascherine. Spesso introvabili. Oppure trovabili ma a un prezzo più alto di quello fissato contro le speculazioni. Prezzo che sarebbe di 50 centesimi ma per ora resta a 61. E questo perché si applica ancora l’iva che il governo vuole abolire, solo che il decreto ancora non c’è.
Il commissario straordinario, Domenico Arcuri, respinge gli attacchi: «Nelle ultime settimane abbiamo distribuito 36,2 milioni di mascherine, dall’inizio dell’emergenza sono 208,8 milioni. Le Regioni nei loro magazzini ne hanno 55 milioni». Poco dopo lo stesso Arcuri precisa che «non c’è alcuna polemica, quel dato sulle mascherine a disposizione delle Regioni è la testimonianza del lavoro congiunto fatto nell’interesse dei cittadini». Ma il tema è sensibile, il clima non proprio sereno. Anche perché 55 milioni di pezzi sono tanti solo a prima vista. Secondo il Politecnico di Torino ne consumiamo 60 milioni al giorno, 35 solo per i lavoratori.
Resta il fatto che il commissario deve rifornire ospedali, residenze sanitarie e servizi essenziali. Il resto è mercato, anche se a prezzo calmierato. Come per i 19,5 milioni di pezzi venduti da inizio maggio nella grande distribuzione. Mascherine comprate a un prezzo massimo di 45 centesimi, quindi compatibile con quello fissato da Arcuri che in ogni caso, dice, «resta quello, gli speculatori si rassegnino».
Al di là delle baruffe quotidiane, i problemi sono due. Il primo è la distribuzione. Per questo il commissario dovrebbe firmare a breve un accordo con i tabaccai, che hanno una capillare rete di vendita, visto che coprono 7.400 Comuni su 7.900. Mentre con le farmacie si va verso un nuovo accordo, che a differenza del primo, avrà tempi, procedure e responsabilità più definite. Il secondo problema è la produzione. L’italia sforna una quantità limitata di melt blown, il tessuto utilizzato per le mascherine chirurgiche. È stata riconvertita qualche fabbrica che prima produceva filtri per auto, ma non basta. Da qui l’idea alla quale stanno lavorando il Politecnico di Torino e l’uni, l’ente italiano di normazione, insieme a Inail e Confindustria dispositivi. Si tratta delle cosiddette mascherine di comunità, leggermente meno protettive di quelle chirurgiche ma più facili da produrre. «L’idea — spiega Guido Saracco, rettore del Politecnico — è utilizzare materiali diversi, i cosiddetti wet laid, un misto di cellulosa e fibre polimeriche». La produzione non sarebbe un problema. Aiuterà a chiudere la guerra delle mascherine?