Corriere della Sera

Addio a Gigi Simoni l’allenatore galantuomo

- di Mario Sconcerti e Beppe Severgnini

Disegnava tornanti con le parole. Scalava le vette con il suono di una voce. Claudio Ferretti (foto) era lo sport da raccontare. Perché vederlo avrebbe dissolto l’incanto. Se ne va come un campione che dice basta una volta tagliato il traguardo. Scende dalla bici e la consegna al meccanico. La corsa della vita finita a 77 anni. Tanti spesi a rincorrere soprattutt­o i ciclisti. Aggrappato a un microfono, avvinghiat­o a una moto. Un mestiere respirato in famiglia. Figlio di Mario Ferretti, la «voce» di Fausto

Coppi. Quando la radio era un album immaginari­o di figurine. Lo sport a occhi chiusi, che vibrava per un cambio di tono. Il ciclismo, ma anche il calcio e il pugilato. Claudio c’era sempre. Con la modestia di chi è solo un testimone. Con la gratitudin­e di chi viene pagato per stare in prima fila. Claudio Ferretti ti portava nell’angolo di Nino Benvenuti. A sentire il sudore e ascoltare il dolore dopo un corpo a corpo con Carlos Monzon. Un cronista eclettico perché appassiona­to del suo mestiere. Dal ring agli stadi del mondo. Tutto il calcio minuto per minuto non era solo il nome di una fortunata trasmissio­ne, erano 90 minuti in un altro mondo. Quello dove i calciatori che vedevi sulle figurine non avevano una faccia ma l’anima della tua squadra. Quella di Claudio Ferretti non era una voce sullo sfondo, era la matita che faceva autografi alla fantasia. Lo sport della radio che bastava abbassare le ciglia.

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