«Prima il recovery fund E dopo penseremo al Fondo salva Stati»
Il sottosegretario Baretta: debito, nessun rischio Bce: possibili più acquisti di bond anticrisi
Il governo ha già varato due manovre in deficit. La prima, il Cura Italia, per 20 miliardi di euro, la seconda, il decreto Rilancio, per 55 miliardi. Ma non basterà. Perciò è vitale l’aiuto che potrà venire dall’unione europea?
«Stiamo puntando molto sul contributo europeo per due motivi – risponde il sottosegretario all’economia, Pier Paolo Baretta (Pd) - uno squisitamente finanziario, perché abbiamo già aumentato il deficit per quest’anno dal 2,2% al 10,4% del Pil, un Pil che si annuncia in calo del 9%. Una crisi così, che ha colpito tutta Europa e non solo, richiede una strategia sovranazionale. L’altro motivo è che siamo convinti sia necessario far fare un salto di qualità all’europa».
Sarà, ma anche l’ultima proposta franco-tedesca di un fondo da 500 miliardi è
Al Tesoro Pier Paolo Baretta, 70 anni, sottosegretario all’economia, esponente del Pd
bocciata da Olanda, Austria, Danimarca e Svezia.
«C’è però un fatto importante: negli ultimi mesi le istituzioni europee sono state molto più avanti del dibattito nei singoli Stati. Si è superato il Patto di stabilità ed è stato varato il programma Sure contro la disoccupazione, che l’italia chiedeva da anni. È vero, c’è un dibattito tra gli Stati, ma qui la novità è che l’italia facendosi capofila di uno schieramento che ha unito Francia, Spagna e altri Paesi ha finito per muovere anche le posizioni della Germania. Che ora propone con la stessa Francia questo fondo da 500 miliardi. Insomma, il recovery fund proposto dall’italia ora è acquisito nel dibattito anche se noi diciamo che serve un intervento più robusto. Quanto all’opposizione dei Paesi piccoli, essi rischiano di restare isolati. La situazione è cambiata e anche la questione dei regimi fiscali privilegiati è sul tavolo».
Sta dicendo che se qualche paradiso fiscale tipo l’olanda usasse il potere di veto per bloccare il recovery fund potrebbe pentirsene?
«Credo che dopo il cambiamento di posizione della Germania le diplomazie saranno in grado di convincere anche i Paesi più riottosi. Anche quelli che si reggono su regole fiscali molto favorevoli capiranno che conviene stare nel gioco europeo. Usare il veto in una situazione come questa sarebbe controproducente».
In Italia la maggioranza è divisa su un altro importante strumento, il Mes, che potrebbe erogare 36 miliardi di prestiti all’italia per la sanità. Il Pd è favorevole i 5 Stelle no. Come se ne esce?
«Con una discussione che tenga conto di tutti gli strumenti che devono essere resi disponibili dall’ue. Anche io, che guardo con interesse al Mes, perché 36 miliardi a zero condizioni e a zero interessi per la sanità sarebbero importanti, non mi spingo oltre se prima non si porta a casa il recovery fund».
I 5 Stelle sembrano indisponibili al Mes anche se ci fosse il recovery fund.
«Sono preoccupati che una volta entrati nel meccanismo del Mes si resti imbrigliati in condizioni che comportino il rischio di ristrutturazione del debito pubblico. Io credo che questo rischio non si corra e ci siano le condizioni per rendere esplicito questo punto».
Molti pensano che il punto non sia ottenere dall’ue risorse senza condizioni, ma riuscire a spenderle.
«La semplificazione burocratica è indilazionabile. Faremo un decreto legge per questo. Credo che si debba fare tesoro del modello col quale è stato ricostruito il ponte Morandi a Genova. Se siamo tutti d’accordo che ha funzionato, generalizziamolo».
Le imprese intanto lamentano ritardi nei prestiti.
«Con gli emendamenti al decreto Liquidità aumentiamo da 25 a 30 mila euro i prestiti con garanzia pubblica al 100% e allunghiamo da 6 a 10 anni la restituzione».
d Ora vogliamo un decreto legge per la semplificazione della burocrazia
Dopo il cambiamento di Berlino adesso si convinceranno anche altri Paesi
La ripresa nell’eurozona dopo il lockdown? Avrà graficamente la forma di «U» e non di «V», cioè non sarà rapida ma lenta e prolungata nel tempo. Lo stima la Bce, nelle minute del verbale della riunione del 30 aprile. Un rimbalzo rapido «può certamente essere già escluso»; più probabile una ripresa «a U», ossia crescita solo per alcuni mesi e comunque che richiederebbe tempo per prendere forma, e sotto gli effetti dei settori colpiti in modo più pesante. «Se non ci sarà una ripresa rapida di fiducia dei consumatori dopo la fine del contenimento, c’è il rischio che la domanda rimanga bassa», dicono i banchieri centrali. Inoltre, gli effetti sull’occupazione saranno più forti e durevoli e a sua volta ciò comporterà calo della domanda e rischio di prolungata recessione. Per questo la Bce è «pronta» a rafforzare ulteriormente il suo arsenale anticrisi e, se necessario, ad aumentare il Pepp (gli acquisti di titoli di Stato e bond privati legati alla crisi post-covid) fin dal board di giugno. La presidente Christine Lagarde ha spiegato che la Bce prevede un calo del 512% del Pil in Eurozona quest’anno, e l’ampiezza delle stime riflette la «grande incertezza» circa gli effetti della pandemia. In ogni caso «le banche centrali da sole possono fare fino a un certo punto, e dunque devono giocare un ruolo centrale le politiche di bilancio», ha spiegato Philip Lane, membro del board e capo economista Bce, secondo il quale serve un «grande choc» fiscale nella Ue.