I NO AMBIGUI ALL’EUROPA SONO DESTINATI A DIVENTARE SÌ
Parafrasando il titolo di un film, si potrebbe parlare di cinquanta sfumature di no. L’insistenza con la quale il premier Giuseppe Conte ripete di volere fare a meno del Meccanismo europeo di stabilità, quel Mes che dovrebbe darci circa 37 miliardi di euro per la sanità, è una sorta di mantra. Ma si tratta di un mantra circondato da subordinate e condizioni, recitato quotidianamente più per rassicurare il Movimento Cinque Stelle che per preparare il Paese a un «no» altamente improbabile.
Puntare sui 500 miliardi di euro a fondo perduto previsti dal Fondo per la ripresa lanciato da Germania e Francia continua a essere definito «un ottimo punto di partenza». Ma il presidente del Consiglio sa che è la metà, forse un terzo rispetto alle aspettative iniziali dell’italia; e che alcuni Paesi nordeuropei useranno il loro potere per cercare di ridurre ulteriormente la cifra. Quando Conte racconta di avere chiesto alla presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, di essere «ancora più ambiziosa», fotografa una frustrazione italiana.
E lascia sullo sfondo la possibilità che il no al Mes diventi nelle prossime settimane un «ni»; e alla fine un «sì» del Parlamento per necessità, destinato a scontentare qualche settore grillino senza che questo provochi né una crisi di governo né un cambio di maggioranza. Le vicende delle ultime settimane dicono che l’estrema debolezza dell’esecutivo ha come contraltare e puntello paradossale quella dei suoi avversari: anche dentro i Cinque Stelle. L’impossibilità di aprire una crisi, perfino di cambiare un solo ministro, dice che in questa fase si cammina su un binario obbligato.
Se non è uno status quo, somiglia comunque a una tregua precaria, rafforzata dall’impotenza altrui. Riguarda in primo luogo un M5S diviso ormai in varie tribù, con quelle «governiste» comunque prevalenti; incapace di ritrovare una sintesi; ma d’accordo nel rinviare la resa dei conti a settembre: anche perché la pandemia ha fermato il suo crollo verticale, e dunque non può permettersi strappi . L’idea del «direttorio» come surrogato della leadership è la fotografia di questa balcanizzazione controllata del grillismo.
In questa finzione di unità diventa meno difficile anche archiviare il divieto dei due mandati, architrave del M5S pregovernativo. L’appoggio alle ricandidature delle sindache di Roma e Torino è il cavallo di Troia che permetterà alla maggior parte della nomenklatura di ripresentarsi alle prossime elezioni. Esiste un’incognita, in questo schema: la capacità del governo di essere all’altezza della Fase 2. Non è scontata, anzi. E l’eccesso di sicurezza che a volte si indovina nel premier sottovaluta il malessere di un’italia in bilico, secondo il segretario del Pd Nicola Zingaretti, tra disagio e caos. E in attesa impaziente degli aiuti promessi.