Corriere della Sera

Thea, la dottoressa del Covid Hotel «Stare tra i profughi mi ha aiutato»

Milano, Scognamigl­io dirige la struttura. È nipote di Susanna Agnelli

- di Alessandra Muglia (foto di Matteo Corner / Ansa)

Prima in Iraq tra le donne yazide fuggite dall’isis, poi nelle carceri del Malawi, tra i malati di Tbc e Aids. «Ero tornata per organizzar­e il mio matrimonio, mai avrei immaginato di restare in Italia per occuparmi di un’emergenza sotto casa». Thea Scognamigl­io è il medico igienista che coordina il team Ats, l’ex Asl, al Michelange­lo di Milano, a marzo primo hotel in Europa ad aprirsi alle persone in quarantena per il Covid. In pista dal mattino presto a oltranza, sul telefonino le risposte inviate a qualche ospite fino a tarda sera. Parole di una che si sforza di trovare soluzioni. Treccia biondo cenere sulla spalla, collana di conchiglie del lago Malawi al collo e sneakers ai piedi, sembra più giovane dei suoi 35 anni. «Noi qui dovremmo occuparci solo di tamponi, in realtà siamo alle prese con i problemi più diversi, dalle dimissioni di homeless a persone che premono per essere accolte. Per noi questo è più di un lavoro».

Qual è la motivazion­e di una diretta discendent­e del

la famiglia Agnelli, che ha scelto di fare il medico, per di più in situazioni di crisi?

«Io sto bene quando mi sento utile e mi piace riuscire ad esserlo con una profession­alità così atipica nella mia famiglia. Volevo trovare la mia strada. Mio padre (Carlo Scognamigl­io, economista, ex presidente del Senato e ministro del governo D’alema, ndr) ha sempre spronato me e mio fratello a crearci una identità profession­ale forte. Ero interessat­a al giornalism­o

In prima linea ma mia madre (Delfina Rattazzi, giornalist­a e scrittrice, figlia di Susanna Agnelli, ndr) mi ha dissuaso. Così ho scelto medicina. E mentre i miei cugini andavano alle feste e in vacanza, io stavo a casa a studiare anatomia».

La sua prima esperienza sul campo è stata nel 2016, tra i profughi intrappola­ti in Grecia dopo l’accordo Ueturchia. Cosa le è rimasto?

«È lì che ho imparato a reagire al senso di frustrazio­ne che ti assale in contesti diffici

Thea Scognamigl­io, 35 anni, dirige il Michelange­lo di Milano li. Ho cercato tra tutti quei bisogni che mi facevano male uno a cui potevo rispondere. Mi sono concentrat­a sull’epidemia di scabbia nei campi, dalla disinfesta­zione delle tende al tracciamen­to dei contatti, qualcosa che nessuno faceva. La frustrazio­ne così è svanita, rimpiazzat­a dal desiderio di fare meglio. Così mi sono iscritta a un master in Sanità pubblica al John Hopkins Centre for Humanitari­an Health di Baltimora: saper affrontare emergenze sanitarie su larga scala richiede competenze specifiche».

Finito il master a gennaio, è partita nel Kurdistan iracheno tra le donne yazide fuggite dall’isis.

«Migliaia di ragazze traumatizz­ate per gli abusi subiti: questa crisi della salute mentale, una delle più pesanti della storia, ha richiamato tante organizzaz­ioni, ma mancava un coordiname­nto. Lì ho fatto da consulente per la costituzio­ne di una cabina di regia sulla salute pubblica».

Come la sua esperienza in

aree di emergenza umanitaria dall’iraq al Malawi l’ha aiutata a organizzar­e quella in casa, qui al Michelange­lo?

«In Kurdistan il dottor Baktiar diceva che lì qualsiasi progetto con un respiro di oltre un anno non funziona. Questo l’ho rivisto nell’emergenza Covid. Per quanto resisterà il Michelange­lo? Per quanto continuere­mo a fare i tamponi? Le emergenze sanitarie si assomiglia­no, sono da pianificar­e nel breve periodo».

Perché qui non avete a disposizio­ne i test sierologic­i?

«In Lombardia scontiamo gli effetti della riforma Maroni che ha scorporato e diviso i dipartimen­ti in Ats, il cervello, e Asst, gli ospedali, le braccia, svuotando il territorio di prestazion­i sanitarie. Pensi che nella gestione dei tamponi del Michelange­lo sono coinvolte 5 parti diverse del sistema sanitario lombardo. Quando ci sono più parti in causa, il coordiname­nto diventa uno degli aspetti più critici nelle emergenze».

Torniamo a lei, anzi a voi: quando le nozze?

«Le abbiamo rinviate al 12 settembre. Ma non sappiamo ancora se riuscirann­o a raggiunger­ci tutti gli invitati. Il viaggio di nozze? Io e Francesco volevamo andare al Polo Nord, chissà, forse partendo con gli sci dal Canada potremmo farcela. Scherzi a parte, è diventato troppo presto per decidere. Ci è cambiato l’orizzonte. Come a tutti del resto».

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