Thea, la dottoressa del Covid Hotel «Stare tra i profughi mi ha aiutato»
Milano, Scognamiglio dirige la struttura. È nipote di Susanna Agnelli
Prima in Iraq tra le donne yazide fuggite dall’isis, poi nelle carceri del Malawi, tra i malati di Tbc e Aids. «Ero tornata per organizzare il mio matrimonio, mai avrei immaginato di restare in Italia per occuparmi di un’emergenza sotto casa». Thea Scognamiglio è il medico igienista che coordina il team Ats, l’ex Asl, al Michelangelo di Milano, a marzo primo hotel in Europa ad aprirsi alle persone in quarantena per il Covid. In pista dal mattino presto a oltranza, sul telefonino le risposte inviate a qualche ospite fino a tarda sera. Parole di una che si sforza di trovare soluzioni. Treccia biondo cenere sulla spalla, collana di conchiglie del lago Malawi al collo e sneakers ai piedi, sembra più giovane dei suoi 35 anni. «Noi qui dovremmo occuparci solo di tamponi, in realtà siamo alle prese con i problemi più diversi, dalle dimissioni di homeless a persone che premono per essere accolte. Per noi questo è più di un lavoro».
Qual è la motivazione di una diretta discendente del
la famiglia Agnelli, che ha scelto di fare il medico, per di più in situazioni di crisi?
«Io sto bene quando mi sento utile e mi piace riuscire ad esserlo con una professionalità così atipica nella mia famiglia. Volevo trovare la mia strada. Mio padre (Carlo Scognamiglio, economista, ex presidente del Senato e ministro del governo D’alema, ndr) ha sempre spronato me e mio fratello a crearci una identità professionale forte. Ero interessata al giornalismo
In prima linea ma mia madre (Delfina Rattazzi, giornalista e scrittrice, figlia di Susanna Agnelli, ndr) mi ha dissuaso. Così ho scelto medicina. E mentre i miei cugini andavano alle feste e in vacanza, io stavo a casa a studiare anatomia».
La sua prima esperienza sul campo è stata nel 2016, tra i profughi intrappolati in Grecia dopo l’accordo Ueturchia. Cosa le è rimasto?
«È lì che ho imparato a reagire al senso di frustrazione che ti assale in contesti diffici
Thea Scognamiglio, 35 anni, dirige il Michelangelo di Milano li. Ho cercato tra tutti quei bisogni che mi facevano male uno a cui potevo rispondere. Mi sono concentrata sull’epidemia di scabbia nei campi, dalla disinfestazione delle tende al tracciamento dei contatti, qualcosa che nessuno faceva. La frustrazione così è svanita, rimpiazzata dal desiderio di fare meglio. Così mi sono iscritta a un master in Sanità pubblica al John Hopkins Centre for Humanitarian Health di Baltimora: saper affrontare emergenze sanitarie su larga scala richiede competenze specifiche».
Finito il master a gennaio, è partita nel Kurdistan iracheno tra le donne yazide fuggite dall’isis.
«Migliaia di ragazze traumatizzate per gli abusi subiti: questa crisi della salute mentale, una delle più pesanti della storia, ha richiamato tante organizzazioni, ma mancava un coordinamento. Lì ho fatto da consulente per la costituzione di una cabina di regia sulla salute pubblica».
Come la sua esperienza in
aree di emergenza umanitaria dall’iraq al Malawi l’ha aiutata a organizzare quella in casa, qui al Michelangelo?
«In Kurdistan il dottor Baktiar diceva che lì qualsiasi progetto con un respiro di oltre un anno non funziona. Questo l’ho rivisto nell’emergenza Covid. Per quanto resisterà il Michelangelo? Per quanto continueremo a fare i tamponi? Le emergenze sanitarie si assomigliano, sono da pianificare nel breve periodo».
Perché qui non avete a disposizione i test sierologici?
«In Lombardia scontiamo gli effetti della riforma Maroni che ha scorporato e diviso i dipartimenti in Ats, il cervello, e Asst, gli ospedali, le braccia, svuotando il territorio di prestazioni sanitarie. Pensi che nella gestione dei tamponi del Michelangelo sono coinvolte 5 parti diverse del sistema sanitario lombardo. Quando ci sono più parti in causa, il coordinamento diventa uno degli aspetti più critici nelle emergenze».
Torniamo a lei, anzi a voi: quando le nozze?
«Le abbiamo rinviate al 12 settembre. Ma non sappiamo ancora se riusciranno a raggiungerci tutti gli invitati. Il viaggio di nozze? Io e Francesco volevamo andare al Polo Nord, chissà, forse partendo con gli sci dal Canada potremmo farcela. Scherzi a parte, è diventato troppo presto per decidere. Ci è cambiato l’orizzonte. Come a tutti del resto».