Il manifesto di Van Noten «Insieme si può»
Nuove stagioni, meno abiti (e meno rivalità fra colleghi) Lo stilista e la moda che cambia
La lettera
Una raccolta firma nata dopo videoincontri con i protagonisti del settore nel mondo: Ceo, retailer (come Beppe Angiolini di Sugar Arezzo, nella foto) e imprenditori. Al tavolo a volte anche le istituzioni come Carlo Capasa della Camera della Moda (qui sopra)
S filate che raccontino alla gente quello che troveranno nei negozi dopo poche settimane (e non dopo mesi e mesi). Saldi a fine stagione e non a metà. E poi meno collezioni (basta drop e special edition e quant’altro) e più qualità. Stop insomma alla frenesia della moda, di qua e di là delle vetrine. Rispetto invece di un sistema. A chiederlo è il sistema stesso: stilisti, buyer, Ceo, imprenditori, retails. Un movimento globale che ha un suo «gladiatore», l’insospettabile Dries Van Noten, designer di Anversa — da sempre in calendario a Parigi — creativo colto, elegante, pacato, riservato.
«Non potevo continuare facendo finta di nulla, di fronte a una tragedia come questa», racconta ora che è sceso in campo e ha chiamato a raccolta attorno a sé centinaia di addetti ai lavori: da New York e Parigi, Londra e Milano. Firmatari di una lettera e protagonisti di una catena di videoconversazioni di riflessioni che vogliono diventare azioni: «È cominciato tutto da una chiamata da Crawford (retails di Hong Kong ndr) e da due semplicissime domande: cosa ne facciamo di tutti gli stock del 2020? Che visione avete?». Il sistema, non la creatività. «Già. Così ho messo da parte la seconda per affrontare il primo. Ho cominciato a contattare più persone: colleghi, ma anche ceo e poi altri retails e organizzatori di sfilate e giornalisti. Un mix di figure diverse della moda». «E tutto subito è stato globale e veloce — interviene Rodrigo Bazan Ceo di Thom Browne che insieme a Van Noten è l’altro interlocutore invitato alla conversazione con il Corriere della Sera —e con un solo fine: proteggere il designer, lo sviluppo del prodotto, la manodopera, fra l’altro sopratutto italiana, i retailer, le collezione, i clienti».
La follia della moda
«Il mondo è cambiato, questa cosa orribile del Covid è successa e non si può cancellare, dobbiamo andare avanti. Quando eravamo in mezzo alla follia della moda era difficile capire — riflette Van Noten — che stavamo andando nella direzione sbagliata. Questa pausa deve farci fare quel passo indietro, riflettendo bene. Le parole perfette di Armani, la decisione di Saint Laurent di uscire dal calendario, l’incertezza dei tempi, le decisioni prese qua e là (calendari virtuali e quant’altro ndr) sono state la spinta: se ognuno andrà avanti per la sua strada sarà solo confusione, e basta». «Vedere di volta in volta tutti parlare, insieme, liberamente è davvero incredibile», aggiunge Bazan. E le idee cominciano a vedersi: la proposta di cambiare i tempi delle sfilate: la stagione autunnoinverno fra agosto e gennaio (anziché febbraio e marzo) e quella primavera-estate tra febbraio e luglio (anziché settembre e ottobre). Una rivoluzione necessaria: «La gente non sa più quello che sta guardando, figurarsi quando andarlo a comprare in negozio». E troppe cose: «C’era o c’è sempre questa pressione di dover andare più veloce. Di proporre novità, drop, how. Poi per attirare clienti di nuovo, il sistema degli sconti ma quando una merce va al 50 per cento in meno ne serve altra a prezzo pieno per rientrare. E il circolo si fa sempre più veloce», sostengono stilista e manager.
Il «gladiatore»
Non potevo continuare a disegnare facendo finta di nulla. Quando da Hong Kong mi hanno chiamato per chiedermi cosa fare dell’invenduto, ho capito che dovevo scendere in campo
Confusione
La gente durante le sfilate non sa più cosa sta guardando e sopratutto quando e come comperare. Non ci siamo resi conto che eravamo su una strada completamente sbagliata
Saldi
Troppe collezioni e drop e subito dopo i saldi per fare posto a nuova merce (più cara) e rientrare nei costi. Comprare meno e meglio. Raccontiamo che lavoro c’è dietro una borsa
Il mea culpa
Un mea culpa, certo. Però oggi la gente era abituata, era caduta nel fast fashion, persino nel lusso e come pensate di dire loro che era tutto sbagliato? «Dobbiamo raccontarci. Spiegare di più che cosa facciamo e come lo facciamo. Far capire che dietro la moda c’è industria e talento. Non è solo frivolezza. Ce ne siamo tutti quasi dimenticati. Non si tratta più di quale star ha indossato il tal abito, è più importante far vedere come si fa una borsa per apprezzarne il valore. Tornare alla bellezza». La strada, allora: meno per ottenere di più. «Tanti prodotti non aiutano nessuno». «Vogliamo coordinare nuove tempistiche e i retailer sono entusiasti: è stata una grande sorpresa scoprirlo. Hanno accettato questo game changer: se ci riusciremo sarà un piccolo ma potente cambiamento». Van Noten confida in un allineamento che dalla creatività, toccherà la progettazione, la realizzazione, la distribuzione, la vendita, il cliente e la vita stessa degli abiti: una nuova normalità che rispetti tutti.
Rieducare alla qualità
«Il messaggio che vogliamo fare arrivare al cliente e alle persone che amano la moda e che spendono del loro per seguirla è che se un abito è dell’ultima stagione non vuole dire che è fuori moda. Decidiamo di non bombardare più il pubblico con mille messaggi, ma pochi e forti. E rieduchiamolo ad apprezzare il valore delle cose. Solo uniti possiamo farcela. Altrimenti sarà un disastro». Si sa la moda è fatta anche di protagonisti: «Lo stilista star non ha più senso: dimentichiamoci gli ego. Se il cerchio è completo e dal designer americano arriva al prodotto di prestigio italiano, passando dal retailer di Hong Kong abbiamo fatto bingo. Dimentichiamoci le competizioni, per favore». Quanta fiducia, e proprio in un momento in cui c’è chi lascia i calendari ufficiali o chi dà spallate di qua e di là per organizzare date virtuali.
«Non è nostro compito diventare “la polizia” della moda e dire ad altri quello che possono o non possono fare. È importante da questo punto di vista investigare e avere le opinioni di più persone — conclude Van Noten —. Sono in molti a credere in ciò che diciamo. E tanti se ne renderanno presto conto. Credo che questo sia un movimento fantastico. Un libro aperto a tutti. È ovvio, siamo un grande gruppo però, allo stesso tempo, ognuno dovrà tornare alle proprie compagnie e risolvere i propri problemi».