NÉ TUTELE SANITARIE NÉ PROFESSIONISMO: CALCIATRICI NEL LIMBO
Brave, anzi bravissime e portatrici di valori sportivi sani, per carità, ma non ancora sufficientemente donne di business da meritare lo status di professioniste (in Italia vige un’obsoleta legge dell’81 che inquadra solo gli uomini e che nessun governo si è mai premurato di riformare e degli sgravi fiscali concessi ai club alla fine dell’anno scorso nessuno ha approfittato), le calciatrici italiane di Serie A sono prigioniere di un limbo: chiedono accesso ai contributi della Federcalcio e ai protocolli sanitari ( test, tamponi, ritiri blindati, quarantena) ma per ora non hanno ottenuto né gli uni né gli altri. Sono dilettanti, benché vivano di calcio come CR7 e i suoi fratelli. E il sistema calcio, che già non includeva il professionismo al femminile tra le sue priorità prima della pandemia, ora ha attenzioni (e liti, molte liti) solo per i calciatori, come se vivessimo in una società mono-sesso e alla fine del lockdown avessero avuto diritto a tornare a vivere solo i capi famiglia. La massima conquista delle ragazze, nell’ultimo Consiglio federale che ha deciso lo stop dell’attività dilettantistica, è stata ottenere qualche giorno di proroga per la ghigliottina pronta a cadere sulla Serie A. «Serve un protocollo ad hoc per noi — ha tuonato Sara Gama, capitana di Juve e Nazionale —, vogliamo tutele sanitarie pari a quelle dei colleghi». In una conversazione su corriere.it Milena Bertolini, brava c.t. delle azzurre arrivate a sorpresa nei quarti di finale del Mondiale 2019, si è spinta oltre: «Far ripartire le donne, oltre che gli uomini, è una questione di rispetto e parità di genere. Ciò che si è cominciato, si finisce». Al termine del massimo campionato delle donne mancano solo 6 giornate e il tema di dover difendere gli incassi della biglietteria dallo spettro delle porte chiuse è inesistente. Sarebbe molto più facile far ripartire le ragazze che i ragazzi, se ci fosse davvero la volontà di farlo. Quel che è certo, nell’incertezza generale, è che ammazzare il movimento e disperdere il patrimonio del Mondiale sarebbe un imperdonabile crimine. Con l’aggravante del dolo.