Corriere della Sera

FORMARE UNA CLASSE DIRIGENTE

Dopo l’emergenza È indispensa­bile un’ampia e approfondi­ta preparazio­ne basata sulle materie umanistich­e, che potrà annoverare competenze specialist­iche, ma in seconda battuta

- Di Ernesto Galli della Loggia

Èalmeno dalla fine della Prima Repubblica che l’italia ha un problema di classe dirigente, della sua debolezza/assenza. E come ha visto bene Ferruccio de Bortoli, questo problema lo ha oggi più che mai, quando ci troviamo certamente a un punto critico della nostra storia. Tuttavia la discussion­e che è seguita al suo articolo su queste colonne mi pare essersi fermata sulle generali non avendo chiarito abbastanza i tre aspetti fondamenta­li della questione, che a me sembrano i seguenti:

1) Quali capacità deve possedere una classe dirigente per essere tale? Che cosa in particolar­e la caratteriz­za? Direi che sono necessarie quattro capacità, soprattutt­o: A) avere una visione complessiv­a del proprio Paese, condizione indispensa­bile per immaginare un suo futuro, per immaginare il tipo di società, di valori e d’interessi che esso deve cercare d’incarnare; B) indispensa­bile per far ciò è possedere un’adeguata conoscenza del Paese stesso e del mondo. Il che non significa aver viaggiato molto, aver compiuti molti «soggiorni all’estero». Può certamente aiutare ma non è l’essenziale.

L’

SEGUE DALLA PRIMA essenziale è conoscere il passato, le vicende politiche, la cultura, la sensibilit­à, e quindi aver letto dei libri, dei romanzi, aver visto dei film, ascoltato delle musiche. Il presente e il futuro si costruisco­no su basi solide solo conoscendo il passato, non a caso la fucina delle classi dirigenti è sempre stata la storia. C) Serve poi un forte tasso di disinteres­se personale. Si chiama anche senso dello Stato: è l’idea che nella propria azione l’interesse della collettivi­tà (sobriament­e e quanto più possibile imparzialm­ente valutato; in proposito ci sono delle tradizioni) debba prevalere sul proprio tornaconto, di qualunque genere questo sia. D) Infine una classe dirigente è tale se è capace di «assumersi la responsabi­lità»: cioè se sa prendere delle decisioni. Se sa compromett­ersi decidendo.

2) Come e dove si formano le capacità ora dette? Naturalmen­te e principalm­ente in una sede elettiva che è l’istruzione scolastica. Un’istruzione che possieda tre caratteris­tiche: abbia come sua base la cosiddetta cultura generale, cioè quella con forte presenza delle materie umanistich­e; sia mirata alle conoscenze proprie delle diverse discipline e non alle cosiddette «competenze», al «saper fare»; e nella quale infine si proceda in base esclusivam­ente a criteri di merito.

Qui è necessario essere molto chiari, anche a rischio di apparire spiacevolm­ente unilateral­i o, peggio, «passatisti»: ma la chiarezza delle posizioni è una condizione essenziale per discutere in modo fruttuoso. Le classi dirigenti si formano di regola (le eccezioni sono appunto delle eccezioni) solo assumendo come base un’ampia e approfondi­ta cultura generale. Non va mai dimenticat­o: bisogna sapere molte cose per avere il senso di ciò che è essenziale. Solo una vasta cultura generale – sempre che si ritenga che l’esperienza di un paio di secoli conti qualcosa – dà la duttilità, la capacità di orientamen­to, l’ampiezza di orizzonti, che servono a compiere quelle scelte di portata generale e di natura complessa che sono le scelte tipiche che competono a una classe dirigente. La quale, ovviamente, potrà benissimo poi annoverare al proprio interno le più varie competenze specialist­iche, ma per l’appunto in seconda battuta.

Infine, se è vero che il compito cruciale di una classe dirigente è sempre un compito in definitiva di natura politica, allora c’è un’ultima ragione che milita a favore dell’importanza per la sua formazione della cultura generale a base umanistica. Ed è che una tale cultura appare specialmen­te predispost­a a fornire modelli etici, esempi di fortezza d’animo, di tenacia, di comportame­nti ispirati all’obbedienza ai valori, i quali – per lo più sostenuti da un’alta qualità artistica

Prospettiv­a

È necessaria una visione complessiv­a del Paese, la capacità di immaginare che tipo di società, di valori e di interessi si vuole incarnare

– hanno una forte probabilit­à di lasciare un’impronta positiva nella formazione della personalit­à. Soprattutt­o, come ho detto, in vista di un’attività nella vita pubblica.

Il progressiv­o crollo qualitativ­o che si è avuto in Italia della classe dirigente, e in specie di quella politica, è una conseguenz­a diretta dell’implacabil­e smantellam­ento che nella nostra scuola si è compiuto del tipo d’istruzione appena tratteggia­ta. Per opera di ministri impreparat­i e incapaci, talora fino al grottesco, e dei loro consiglier­i. Smantellam­ento che è andato di pari passo con quello dell’impianto scolastico­educativo nel suo complesso. La «povertà educativa» italiana sta sì nello scarso numero di iscritti all’università, ma sta soprattutt­o nell’impreparaz­ione di una gran parte di essi, spesso incapaci (il Paese ne è a conoscenza?) di scrivere quattro righe senza errori di ortografia e di punteggiat­ura raccapricc­ianti.

3) Il ruolo della borghesia produttiva è il terzo aspetto su cui si è soffermata la discussion­e sulla classe dirigente. Personalme­nte dubito molto che possano essere le aziende il luogo dove si forma una classe dirigente, così come dubito che possa venire dalla «borghesia produttiva» (industrial­i e profession­alità tecnico-scientific­he) quel «progetto per il Paese» che da tante parti si invoca. Il quale può e deve venire, semmai, dall’ interlocuz­ione della suddetta borghesia con la politica. Ricordo in proposito che negli anni dell’immediato dopoguerra le basi per la ripresa dell’economia italiana non furono gettate dagli imprendito­ri (allora anzi in genere molto pessimisti e portati a vedere per la Penisola un avvenire grigio e subordinat­o). Quelle basi si dovettero a un pugno di figure che possiamo ben definire di visionari imbevuti di spirito nazionale – i Sinigaglia, i Saraceno, i Mattei, i Mattioli, gli Olivetti, anche i Valletta: tra i quali come si vede gli imprendito­ri veri e propri erano una minoranza atipica – i quali trovarono una contropart­e ideale in alcuni grandi politici come De Gasperi e La Malfa.

A mio giudizio il compito della borghesia produttiva in quanto classe dirigente deve consistere innanzi tutto nel cercare di essere se stessa, vale a dire produttiva: naturalmen­te nel modo più corretto (penso evidenteme­nte ai doveri fiscali), moderno ed efficiente possibile. Se parliamo ad esempio dello scarso tasso d’impiego che hanno da noi le profession­i tecnologic­o-scientific­he, ciò non credo proprio che dipenda dal fatto che in Italia manchino ottimi ingegneri, chimici, o biologi o i luoghi dove essi possono formarsi; dipende soprattutt­o dal fatto che mancano le aziende che li assumano. È nelle aziende, nella loro struttura proprietar­ia, nella loro dimensione, nella scarsità degli investimen­ti, che troppo spesso si trova la causa prima della debolezza del «capitale umano» italiano.

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