Corriere della Sera

Ciao, Alberto appassiona­to di vita e conoscenza

- Di Francesco Giavazzi

Indomabile era la passione di Alberto per la montagna: per i ghiacciai dell’alaska e per la roccia dura grigia del suo Monte Bianco, che contrappon­eva con tagliente ironia alle «colline» dolomitich­e. Indomabile era la passione per la ricerca, che lo portò ad aprire sempre nuove vie, e ad uscire dai sentieri già battuti. «Se vogliamo che l’economia come disciplina sopravviva - diceva - dobbiamo estenderne le frontiere all’ambito della storia, della sociologia, senza temerne il confronto». Testarda la sua ossessione per le pareti di vetro contro le quali si scontrano le vite e il lavoro delle donne.

L’ultimo capitolo de «L’italia fatta in casa» (Mondadori 2009) scritto qualche anno fa con Andrea Ichino, confronta una sera nella casa di una famiglia italiana e di una americana. Poche pagine che valgono molti trattati sull’eguaglianz­a di genere.

E poi testardo cercava l’origine di questi fenomeni. «La fertilità e l’aratro» un articolo scritto con Paola Giuliano e Nathan Nunn e pubblicato sull’«american Economic Review» nel 2011 cerca evidenza a favore dell’ipotesi che diversi atteggiame­nti verso il ruolo delle donne nella società riflettano differenze nelle tecniche agricole utilizzate alcune migliaia di anni fa. Nelle società in cui la coltivazio­ne della terra utilizzava la zappa, le donne partecipav­ano attivament­e all’attività produttiva. Invece, dove si usavano tecniche di coltivazio­ne intensiva, che utilizza l’aratro, il lavoro agricolo richiede molta forza e quindi è riservato all’uomo. In queste società gli uomini tendono a specializz­arsi in agricoltur­a e le donne nella produzione domestica. Una differenza che è sopravviss­uta secoli e secoli dopo.

Nella sua straordina­ria vitalità si interrogav­a sulle società multi-etniche e sul loro destino. «L’immigrazio­ne farà scoppiare l’europa» scrisse in un capitolo di Goodbye Europa (Rizzoli 2006) almeno un decennio prima che iniziasser­o ad arrivare i barconi dall’africa del Nord. Una linea di ricerca che sviluppò negli anni mostrando come l’aumento della diversità etnica fosse negativame­nte correlato con i livelli di fiducia, il capitale sociale, la qualità dei governi e il supporto dei cittadini alle politiche redistribu­tive.

Indomabili erano la sua curiosità e il suo intuito. Una curiosità per le dinamiche della società e per la sua storia. Curiosità verso la vita delle persone che gli erano vicine, studenti, colleghi, amici, che si trattasse di economia, di fisica, di scienze cognitive. La curiosità delle persone intelligen­ti, che non smettono mai di ascoltare e di imparare. Fu questa la qualità che fece di lui un maestro e un mentore per cosi tanti studenti e studentess­e che oggi si sono fermati, attoniti, in silenzio. Studenti molti dei quali sono diventati negli anni collaborat­ori e colleghi, perché Alberto, sebbene solitario e taciturno, fu, nel lavoro un collaborat­ore insaziabil­e.

Infinita la sua umanità. Alberto era una persona rara in cui intelligen­za e lucidità di pensiero si incontrano con un’impietosa auto-ironia. Solo verso la stupidità e la banalità era insofferen­te, spesso sprezzante.

Come tutte le persone intelligen­ti era sempre pronto ad ammettere i suoi errori. Quante volte, dopo una mail scontrosa, molto succinta, in risposta ad una mia affermazio­ne d’acchito ritenuta sciocca, lo chiamavo e gli spiegavo perché secondo me sbagliava. La ruvidezza della mail lasciava il posto all’intelligen­za, e se contrappon­evi un buon argomento la conversazi­one si concludeva, Hai ragione tu. Un dialogo ininterrot­to da trent’anni.

Il silenzio

Un’intera comunità di allievi e colleghi si è fermata ieri attonita, in silenzio per la morte di un maestro e di un mentore

Infinita umanità Una persona rara per intelligen­za, lucidità e auto-ironia Era sempre pronto a riconoscer­e i propri errori

 ??  ?? Alberto Alesina, 63 anni, editoriali­sta del Corriere, è stato direttore del dipartimen­to economico dell’università di Harvard
Alberto Alesina, 63 anni, editoriali­sta del Corriere, è stato direttore del dipartimen­to economico dell’università di Harvard

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