Gli scontri a Hong Kong: 180 arresti
Monito della Cina agli Stati Uniti: «Qualcuno cerca una nuova Guerra fredda»
Lacrimogeni sulla folla scesa in strada per protestare contro le leggi sulla sicurezza. A Hong Kong la polizia ha arrestato 180 manifestanti.
La tregua sanitaria è finita. I ragazzi di Hong Kong si sono tolti le mascherine anti-contagio e sono tornati a indossare quelle antigas. La polizia ha ripreso a lanciare lacrimogeni e spray urticanti per disperdere il primo corteo del dopo Covid-19. Il corteo del movimento democratico era vietato dai provvedimenti anticontagio: nessun assembramento superiore alle otto persone sarebbe consentito in città. Ma i manifestanti che ieri hanno riacceso Hong Kong non volevano sfidare il coronavirus, volevano dire no a Pechino che sta imponendo al territorio la «Legge sulla sicurezza nazionale della Cina».
Nel corteo di alcune migliaia di manifestanti sono comparse bandiere con la scritta «Hong Kong Independence», una risposta provocatoria a Pechino che evoca lo spettro del «secessionismo ispirato dall’estero». Subito gli agenti hanno sparato i primi candelotti, ci sono stati scontri, atti vandalici contro negozi di catene commerciali cinesi, una decina di feriti e 180 arresti.
La Hong Kong Police Force ha comunicato che la maggior parte degli arrestati sono accusati di assembramento illegale, un reato lieve. Ma quando entrerà in vigore la Legge sulla sicurezza nazionale di tutta la Cina, la provocazione sull’indipendenza (che nessuno vuole davvero per Hong Kong) potrebbe essere registrata come «tradimento, secessione, sedizione» ed essere punita con anni di carcere. Questo sarebbe il destino di chi volesse scendere in strada per contestare il governo, in una qualsiasi città della Cina. E questo, secondo i manifestanti del fronte democratico, è l’obiettivo della legge che sarà votata giovedì dal Congresso nazionale del popolo a Pechino: rendere Hong Kong uguale al resto del Paese. Nonostante l’impegno preso nel 1997 di mantenere per 50 anni il modello «Un Paese due sistemi».
Pechino ribatte che è stata la sfida continua e violenta al governo locale e a quello centrale a rendere «imperativo un meccanismo di tutela della sicurezza nazionale». Il ministro degli Esteri Wang Yi proprio ieri ha detto che sono chiari i tentativi di forze straniere di giocare con Hong Kong e ha ammonito che «un virus politico» negli Stati Uniti spinge verso «una nuova Guerra fredda».
Hong Kong è una città abituata a protestare, lo ha fatto quanto era colonia britannica, e quando nel 1997 è tornata alla Cina: cortei imponenti per fermare leggi sul controllo politico del sistema scolastico, per dire no a norme ritenute liberticide. Ora il Partito-stato
ha deciso di imporsi, scavalcando l’esecutivo di Hong Kong.
Fonti governative dicono che si tratta solo di chiudere un buco legale tra Hong Kong e madrepatria, di prevenire attività terroristiche o sovversive. Ma il punto sarà determinare che cosa sia attività sediziosa o sovversiva: un corteo in Cina non è mai autorizzato, proprio perché il Partito-stato non vuole correre rischi e non vuole essere discusso dai cittadini. In Cina, in nome della «stabilità», giornali e Internet sono sottoposti a censura.
Ieri hanno manifestato in poche migliaia, niente a confronto dei fiumi di dimostranti del 2019: forse il monito di Pechino ha già avuto l’effetto intimidatorio voluto, o forse quello di ieri è stato solo un riscaldamento dopo una lunga pausa anti-epidemia. E hanno avuto un boom di nuove attivazioni le Vpn, i sistemi per aggirare il Great Firewall che chiude la rete in Cina: NORDVPN ha registrato il 120% di incremento dei suoi utenti di Hong Kong.
Lacrimogeni
Le mascherine anti Covid-19 sostituite da quelle antigas. Scontri e 180 arresti