Ha innovato l’economia
Il mio amico Alberto Alesina, professore di economia politica presso l’università di Harvard e titolare della cattedra «Nathaniel Ropes» è morto improvvisamente per arresto cardiaco, mentre era di ritorno da un’escursione in montagna con la moglie Susan lo scorso sabato. La sua scomparsa ha scosso profondamente tutti coloro che lo conoscevano, come pure l’intera comunità accademica. Meno di otto ore prima del decesso, discorreva con i colleghi sulle sue ricerche in corso. Sarà difficile immaginare la facoltà di economia di Harvard, e tutto il campo dell’economia politica, senza di lui.
Nelle moderne università sono in molti a sostenere l’importanza della ricerca interdisciplinare, ma in pochi a dedicarvi l’intera carriera e a favorire la creazione di una nuova disciplina, capace di raggruppare gli studiosi provenienti da percorsi e ambiti differenti. Era questo il progetto di Alberto nel campo dell’economia politica.
Il nostro primo incontro risale agli anni Ottanta. Quando Alberto, da dottorando, studiava l’impatto politico sul ciclo imprenditoriale e le tematiche riguardanti l’indipendenza delle banche centrali, erano pochi gli economisti che si impegnavano innanzitutto a capire la politica, anziché limitarsi a dettare le loro direttive ai politici. E pochi erano gli studiosi di politica che si interessavano anche di economia. Oggi, invece, l’economia politica rappresenta una componente rilevantissima nelle facoltà di economia e di scienze politiche. E gran parte del merito spetta ad Alberto. Pochi altri, come lui, hanno saputo dimostrare nel tempo come intervenire in questioni politiche a partire dall’analisi economica.
Nel corso della sua carriera, Alberto ha posto domande importanti, e fornito risposte adeguate, nel punto di interfaccia tra politica ed economia. Quali strutture istituzionali possono controllare l’inflazione? Alberto ha dimostrato che le banche centrali indipendenti sono lo strumento migliore per tenere a bada la tentazione politica a inflazionare. Perché gli stati europei godono di settori pubblici più estesi e uno stato sociale più generoso rispetto agli Stati Uniti? In quelli che sarebbero diventati temi ricorrenti della sua opera, Alberto e i suoi collaboratori rimarcavano l’importanza
dell’omogeneità etnica nel creare la spinta alla solidarietà, e il concorso degli atteggiamenti culturali nel misurare il successo e l’insuccesso, considerati in alcuni contesti come risultato dell’azione dell’individuo e pertanto meritati, in altri come effetto della fatalità. Le sue ricerche hanno previsto con decenni di anticipo i conflitti che si sono venuti a creare negli stati sociali, oggi esasperati dalla questione dell’immigrazione.
Perché ci sono governi, in alcuni paesi e periodi storici, che accettano il disavanzo pubblico? Quando decidono di adottare misure per ridurlo e quali sono le diverse conseguenze della stabilizzazione innescata dal meccanismo basato sull’aumento della pressione fiscale e sul taglio della spesa pubblica? Negli ultimi due decenni, Alberto è sempre stato in prima linea nel dibattito globale su tali argomenti. Era convinto che in alcune circostanze, ma non in tutte, l’austerità possa stimolare l’economia, specie se impostata sui tagli alla spesa anziché sull’aumento delle tasse. Le sue opinioni erano molto meno keynesiane delle mie e spesso ci trovavamo in disaccordo, anche vigoroso, ma rispettavo enormemente la sua serietà nel raccogliere scrupolosamente tutti i dati e la sua disponibilità ad esaminarli oggettivamente.
Ovviamente, da italiano appassionato di economia politica, Alberto aveva profondamente a cuore il progetto dell’unione europea. Era pronto ad ammettere, tuttavia, che cancellare persino l’idea di un nuovo conflitto dopo un millennio di guerre incessanti tra gli stati europei e creare gli Stati Uniti d’europa fossero cose molto diverse. Le sue intuizioni in materia di economia politica lo avevano portato ad esternare posizioni molto forti su come bilanciare gli interessi di una ricca Europa del nord con quelli di un sud più
povero, tramite meccanismi che avrebbero favorito l’una e l’altra parte.
Qualche anno fa ho avuto modo di constatare quanto Alberto fosse diventato influente e ammirato, quando Wolfgang Schauble ha invitato un gruppo di illustri economisti alla conferenza dei ministri del G7 e dei governatori delle banche centrali sul futuro dell’europa e dell’integrazione globale. Quasi tutti i vincitori di premi Nobel ed eminenti ex membri di governo si sono visti assegnare sette minuti per il loro contributo ai vari gruppi di lavoro, mentre ad Alberto era stato riservato l’intervento principe, all’ora di pranzo. Schauble si era rivelato scaltro, come al solito. Sapeva che quello che Alberto aveva da dire contava di più.
Alberto non si limitava a studiare politica e leadership: queste discipline erano parte integrante della sua vita. Per tre anni è stato preside della facoltà di economia ad Harvard, che ha saputo guidare con grande oculatezza e ottimi risultati, riuscendo comunque a trovare il tempo per le sue passioni, lo sci e la montagna. È stato direttore del Quarterly Journal of Economics quando questa si è trasformata nella rivista di economia più rispettata al mondo. Per gli ultimi quattordici anni ha diretto il programma NBER (National bureau of economic research) di economia politica: una disciplina minore, che non esisteva nemmeno quando Alberto l’ha fatta oggetto di studio, sotto la sua guida è diventata il fulcro di un programma tra i più rilevanti e animati.
C’è gente che è capace di trasformare le cose facili in difficili. Alberto possedeva il dono di far sembrare semplici gli argomenti più ardui. Qualunque impresa dovesse affrontare, aveva sempre un sorriso per gli altri e sapeva esprimere un sincero interessamento nei loro confronti. Aveva conservato la passione per la montagna, pur mantenendo un ritmo di lavoro che persino i nerd più accaniti gli avrebbero invidiato. Conduceva una vita impegnativa, divisa tra l’italia e gli Stati Uniti, ma senza mai dar segno di stanchezza.
Il mio pensiero affettuoso corre a sua moglie Susan nei giorni a venire.