I vigili in isolamento da settanta giorni «Come ai domiciliari»
MILANO Come arresti domiciliari, ma senza reato. Causa: ritardi nella «liberazione» dopo aver superato il Covid-19. Un intasamento burocratico, una sabbia di procedure, un conflitto interno tra settori della sanità. Per questo due agenti della Polizia locale di Milano, entrambi malati di coronavirus (dal 15 marzo), entrambi da tempo guariti (con tampone «negativo» fatto con certo ritardo e dopo incessanti richieste il 15 maggio), non riescono ancora a rientrare in servizio: perché il laboratorio ha comunicato l’esito del tampone via mail (il 19 maggio), ma il referto giuridicamente valido (su carta intestata e firmato da un medico) non è stato ancora caricato sul fascicolo sanitario elettronico. Da qui, il caotico intreccio. Il medico di base sostiene: siete «negativi», dunque non posso più farvi un certificato di malattia. Il datore del lavoro, dal suo punto di vista, non può riammetterli senza un referto medico valido. E così, in questo micro buco nero amministrativo, entrambi gli agenti hanno dovuto prendere qualche giorno di ferie per mettere una pezza all’assenza dal lavoro. Nel frattempo, ieri, nell’attesa, hanno «compiuto» la decima settimana di quarantena. Settanta giorni di isolamento coatto.
Sono stati malati «sommersi». Mai testati durante la malattia, come decine di migliaia di persone tra Milano e provincia nei mesi dell’emergenza (quelli poi segnalati dai medici di base sono stati 22 mila). Tachipirina, contatti col medico solo via mail, sintomi pesanti, «ma ci è stato sempre detto di andare in ospedale solo in caso di insufficienza respiratoria», raccontano. Poi, passata la malattia, con qualche sintomo che si è prolungato, sono entrati in una nuova macro categoria di milanesi e lombardi: i «quarantenati». Sono anche questi decine di migliaia e hanno bisogno dei tamponi per riprendere la loro vita sociale e lavorativa. E qui si crea un ingorgo tra i medici di base che devono controllare e segnalare