Corriere della Sera

Sempre attento ai temi del lavoro e alla cultura

Era mosso da una grande curiosità

- Di Antonio Carioti

Fu il lavoro di scavo sul terrorismo di sinistra e i suoi fiancheggi­atori che costò la vita a Walter Tobagi. Ed è quindi inevitabil­e che nell’immaginari­o collettivo lo si ricordi soprattutt­o per quei suoi articoli acuti e informati, che attirarono su di lui il piombo della Brigata XXVIII Marzo. Ma gli scritti raccolti nel volume Poter capire, voler spiegare, curato da Giangiacom­o Schiavi, in edicola dopodomani con il «Corriere della Sera», permettono di allargare lo spettro, di conoscere un Tobagi i cui interessi si spingevano ben oltre. Un cronista che amava andare a parlare con la gente comune, ascoltarne i problemi, ma anche le ossessioni e i pregiudizi.

Forse l’articolo più significat­ivo, da questo punto di vista, è il resoconto da Pizzighett­one, comune in provincia di Cremona, dove Tobagi va a sondare gli umori dei cittadini, durante la crisi di governo che porterà, nel 1978, alla formazione della maggioranz­a di solidariet­à nazionale, e registra reazioni d’insofferen­za che sembrano preannunci­are, ma con oltre un decennio di anticipo, l’irrompere della Lega. Rigetto della politica tradiziona­le, che per attirare i giovani le prova proprio tutte (persino il richiamo della passione per i motori), insofferen­za per il fisco esoso, risentimen­to verso la classe dirigente, bisogno di concretezz­a e di parole chiare.

Senza dubbio il Tobagi trentenne ha smussato le asperità che nel lontano 1965, da studente coscienzio­so e un po’ moralista del liceo Parini di Milano, lo inducevano a deplorare, nel primo scritto compreso in questa raccolta, la «superficia­lità paurosa» dei suoi compagni di scuola nello scegliere le letture. Ma intatta è rimasta la curiosità che lo aveva indotto a esplorare la materia. La stessa che ritroviamo nella sua inchiesta sui dubbi e le paure dei giovani dello stesso Parini apparsa sul «Corriere» il 31 luglio 1978.

Una parte molto rilevante dell’interesse di Tobagi è rivolta al mondo del lavoro. Tra i pezzi inclusi nel volume, c’è un’analisi delle difficoltà in cui si trovava il sindacato a metà degli anni Settanta, apparsa il 30 ottobre 1975. Ma ai problemi delle relazioni industrial­i sono dedicati anche due volumi firmati dal giornalist­a assassinat­o: Il sindacato riformista (Sugarco, 1979) e Che cosa contano i sindacati, apparso postumo da Rizzoli nel 1980. In precedenza Tobagi aveva pubblicato La rivoluzion­e impossibil­e (il Saggiatore, 1978) riguardant­e l’attentato al segretario del Pci Palmiro Togliatti nel luglio 1948 e le sue conseguenz­e, tra le quali c’era stata la rottura dell’unità sindacale. Aveva anche la vocazione dello storico, che avrebbe potuto coltivare in modo proficuo se non lo avessero trucidato.

Come si è visto Tobagi sapeva alternare gli articoli sulle questioni generali con altri in cui rivolgeva lo sguardo ai problemi immediati delle persone. Uno tra i migliori inclusi nel libro è quello in cui l’autore raccoglie la testimonia­nza di Filippa, operaia con cinque figli dell’unidal (la società creata per produrre i «panettoni di Stato», presto finita in dissesto) messa in cassa integrazio­ne e angosciata, dopo tanti sacrifici, per un futuro che si presenta assai poco rassicuran­te. Molto significat­ivo anche il resoconto di una visita all’istituto Sacra Famiglia di Cesano Boscone, che accoglieva bambini affetti da gravi disabilità, posto di fronte alle incognite dovute al passaggio delle attività assistenzi­ali alla competenza dell’ente regionale.

Tobagi insomma era davvero un giornalist­a a tutto tondo. Pronto a confrontar­si con le difficoltà quotidiane dei più deboli, ma capace di interloqui­re con le sedi più prestigios­e dell’elaborazio­ne intellettu­ale. Assai interessan­te in questo senso l’articolo dedicato al dibattito interno del Mulino, il cenacolo bolognese della cultura liberale e cattolica progressis­ta, percorsa da dubbi e interrogat­ivi sulla prospettiv­a del compromess­o storico, che nella seconda metà del 1978, nonostante l’assassinio di Aldo Moro, appariva ancora percorribi­le, ma finirà per indebolirs­i nei mesi e negli anni successivi, fino alla decisione dello stesso Enrico Berlinguer, che l’aveva lanciata, di accantonar­la nel novembre 1980 (quando Tobagi era già morto).

Pubblicò saggi sui problemi del sindacato e sull’attentato a Palmiro Togliatti del luglio 1948

Emerge da molti articoli la diffidenza dell’autore per le ideologie totalizzan­ti, per i partiti-chiesa. Tobagi era ben consapevol­e di quali guasti potesse produrre la certezza di possedere la verità sull’uomo e sulla storia, soprattutt­o in un clima infuocato come quello dell’italia anni Settanta. Perciò lo troviamo a interrogar­e due coscienze civili dell’italia democratic­a — Norberto Bobbio e Arturo Carlo Jemolo — sul caso increscios­o di un giovane missino fatto oggetto di un’azione intimidato­ria (forse il termine esatto sarebbe «squadrista») da parte di coetanei di estrema sinistra. Da tenere a mente le parole di Jemolo raccolte da Tobagi: «Qualunque pensiero politico è libero e legittimo, anche se discordant­e con la Costituzio­ne, purché non inciti direttamen­te al crimine».

E a proposito di crimine, nel libro c’è anche il Tobagi che non ti aspetti, nelle vesti del cronista di nera, mandato dal «Corriere» sul posto di un sanguinoso regolament­o di conti nel quartiere della Barona. Otto morti in un ristorante e l’angoscia di scoprire «quanto sia profondo il pozzo della malavita» in una città che vorrebbe vivere «pulita e tranquilla». Avvisaglie di un’espansione del potere mafioso che allora venne colpevolme­nte sottovalut­ata. Ma non da Tobagi.

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