Sempre attento ai temi del lavoro e alla cultura
Era mosso da una grande curiosità
Fu il lavoro di scavo sul terrorismo di sinistra e i suoi fiancheggiatori che costò la vita a Walter Tobagi. Ed è quindi inevitabile che nell’immaginario collettivo lo si ricordi soprattutto per quei suoi articoli acuti e informati, che attirarono su di lui il piombo della Brigata XXVIII Marzo. Ma gli scritti raccolti nel volume Poter capire, voler spiegare, curato da Giangiacomo Schiavi, in edicola dopodomani con il «Corriere della Sera», permettono di allargare lo spettro, di conoscere un Tobagi i cui interessi si spingevano ben oltre. Un cronista che amava andare a parlare con la gente comune, ascoltarne i problemi, ma anche le ossessioni e i pregiudizi.
Forse l’articolo più significativo, da questo punto di vista, è il resoconto da Pizzighettone, comune in provincia di Cremona, dove Tobagi va a sondare gli umori dei cittadini, durante la crisi di governo che porterà, nel 1978, alla formazione della maggioranza di solidarietà nazionale, e registra reazioni d’insofferenza che sembrano preannunciare, ma con oltre un decennio di anticipo, l’irrompere della Lega. Rigetto della politica tradizionale, che per attirare i giovani le prova proprio tutte (persino il richiamo della passione per i motori), insofferenza per il fisco esoso, risentimento verso la classe dirigente, bisogno di concretezza e di parole chiare.
Senza dubbio il Tobagi trentenne ha smussato le asperità che nel lontano 1965, da studente coscienzioso e un po’ moralista del liceo Parini di Milano, lo inducevano a deplorare, nel primo scritto compreso in questa raccolta, la «superficialità paurosa» dei suoi compagni di scuola nello scegliere le letture. Ma intatta è rimasta la curiosità che lo aveva indotto a esplorare la materia. La stessa che ritroviamo nella sua inchiesta sui dubbi e le paure dei giovani dello stesso Parini apparsa sul «Corriere» il 31 luglio 1978.
Una parte molto rilevante dell’interesse di Tobagi è rivolta al mondo del lavoro. Tra i pezzi inclusi nel volume, c’è un’analisi delle difficoltà in cui si trovava il sindacato a metà degli anni Settanta, apparsa il 30 ottobre 1975. Ma ai problemi delle relazioni industriali sono dedicati anche due volumi firmati dal giornalista assassinato: Il sindacato riformista (Sugarco, 1979) e Che cosa contano i sindacati, apparso postumo da Rizzoli nel 1980. In precedenza Tobagi aveva pubblicato La rivoluzione impossibile (il Saggiatore, 1978) riguardante l’attentato al segretario del Pci Palmiro Togliatti nel luglio 1948 e le sue conseguenze, tra le quali c’era stata la rottura dell’unità sindacale. Aveva anche la vocazione dello storico, che avrebbe potuto coltivare in modo proficuo se non lo avessero trucidato.
Come si è visto Tobagi sapeva alternare gli articoli sulle questioni generali con altri in cui rivolgeva lo sguardo ai problemi immediati delle persone. Uno tra i migliori inclusi nel libro è quello in cui l’autore raccoglie la testimonianza di Filippa, operaia con cinque figli dell’unidal (la società creata per produrre i «panettoni di Stato», presto finita in dissesto) messa in cassa integrazione e angosciata, dopo tanti sacrifici, per un futuro che si presenta assai poco rassicurante. Molto significativo anche il resoconto di una visita all’istituto Sacra Famiglia di Cesano Boscone, che accoglieva bambini affetti da gravi disabilità, posto di fronte alle incognite dovute al passaggio delle attività assistenziali alla competenza dell’ente regionale.
Tobagi insomma era davvero un giornalista a tutto tondo. Pronto a confrontarsi con le difficoltà quotidiane dei più deboli, ma capace di interloquire con le sedi più prestigiose dell’elaborazione intellettuale. Assai interessante in questo senso l’articolo dedicato al dibattito interno del Mulino, il cenacolo bolognese della cultura liberale e cattolica progressista, percorsa da dubbi e interrogativi sulla prospettiva del compromesso storico, che nella seconda metà del 1978, nonostante l’assassinio di Aldo Moro, appariva ancora percorribile, ma finirà per indebolirsi nei mesi e negli anni successivi, fino alla decisione dello stesso Enrico Berlinguer, che l’aveva lanciata, di accantonarla nel novembre 1980 (quando Tobagi era già morto).
Pubblicò saggi sui problemi del sindacato e sull’attentato a Palmiro Togliatti del luglio 1948
Emerge da molti articoli la diffidenza dell’autore per le ideologie totalizzanti, per i partiti-chiesa. Tobagi era ben consapevole di quali guasti potesse produrre la certezza di possedere la verità sull’uomo e sulla storia, soprattutto in un clima infuocato come quello dell’italia anni Settanta. Perciò lo troviamo a interrogare due coscienze civili dell’italia democratica — Norberto Bobbio e Arturo Carlo Jemolo — sul caso increscioso di un giovane missino fatto oggetto di un’azione intimidatoria (forse il termine esatto sarebbe «squadrista») da parte di coetanei di estrema sinistra. Da tenere a mente le parole di Jemolo raccolte da Tobagi: «Qualunque pensiero politico è libero e legittimo, anche se discordante con la Costituzione, purché non inciti direttamente al crimine».
E a proposito di crimine, nel libro c’è anche il Tobagi che non ti aspetti, nelle vesti del cronista di nera, mandato dal «Corriere» sul posto di un sanguinoso regolamento di conti nel quartiere della Barona. Otto morti in un ristorante e l’angoscia di scoprire «quanto sia profondo il pozzo della malavita» in una città che vorrebbe vivere «pulita e tranquilla». Avvisaglie di un’espansione del potere mafioso che allora venne colpevolmente sottovalutata. Ma non da Tobagi.