MERCATI AZIONARI TRA STORIA E FUTURO
Caro direttore, The jury is out è un’espressione inglese che allude a un giudizio sospeso, in attesa che il tempo emetta la sua sentenza. Si adatta perfettamente all’attuale situazione dei mercati azionari, in cui si sta consumando la tipica contrapposizione tra teorie vecchie e nuove, tra i sostenitori del valore della Storia e chi vuole rottamarla, convinto che davanti ci sia un futuro incomprensibile in base ai vecchi schemi.
Il tema del contendere non è di tipo industriale. La rivoluzione legata a internet è da tutti considerata irreversibile, ancora di più oggi dopo la pandemia. Il tema sono i prezzi di Borsa, ovvero le valutazioni a cui si scambiano i titoli del settore tecnologico.
Secondo i sostenitori del Fang Club (Facebook, Amazon, Apple, Netflix, Google) e di numerosi altri gruppi affiliati (Tesla, Uber, etc.) le valutazioni non sarebbero affatto irragionevoli ma deriverebbero da nuove metodologie di calcolo che, a maggior ragione in un periodo di tassi d’interesse a zero, arrivano a concludere che nessun prezzo di per sé è troppo alto. L’unico requisito richiesto è la crescita dimensionale (degli utili poco importa e infatti, in alcuni prospetti di società tech, non sono neanche previsti). Si giustifica così il valore di 47 miliardi di dollari per Zoom, società di videoconferenze balzata agli onori delle cronache grazie al coronavirus, che fattura appena 620 milioni. O il fatto che i Fang rappresentino da soli oltre il 20% del valore di tutta Wall Street. E poiché queste aziende crescono grazie alla tecnologia, va da sé che solo le menti più giovani e per usare un termine in voga, digitali, possono capirle. Le difficoltà di performance di Warren Buffet, il più grande – e vecchio – investitore al mondo, ne sono una prova evidente.
I «nondigitali» vacillano. La vita li ha allenati a ragionare controcorrente ma certo questa volta le forze in campo sono potenti. Li sorregge però la conoscenza della Storia per la quale non c’è nulla di veramente nuovo in quello a cui stiamo assistendo. Il periodo di tempo analizzato, a partire dal 2010, è decisamente troppo breve per considerarlo una nuova era: i mercati hanno visto periodi di rialzo anche molto più lunghi (per esempio in America dal 1948 al 1969) seguiti da crolli rovinosi. Anche la teoria dei prezzi illimitati, per quanto assurda possa sembrare, non è originale. Descrisse questo paradosso The Journal of Finance in un articolo datato 1957, nel bel mezzo di una ciclica esuberanza irrazionale, guarda caso anche allora caratterizzata dalla preferenza degli investitori per le aziende con forti tassi di crescita e utili futuribili.
Ma il vero asso nella manica dei «nondigitali» è un teste formidabile, seppure poco conosciuto. Il suo nome è Sir Francis Galton, brillante scienziato inglese e cugino di Darwin, che a fine ’800 scoprì la «regressione verso la media». Nella sostanza diede corpo scientifico al fatto che le mode e i trend, soprattutto quelli più estremi, hanno la tendenza a invertirsi nel tempo. Bezos & Co. possono avere addomesticato i governi ma Galton è un osso molto più duro. Riporterà il pendolo indietro anche questa volta?
The jury is out. L’aula è piena come non si vedeva da tempo, la tipologia di scarpe e le cravatte al collo a identificare le opposte fazioni. Seimila miliardi di dollari (a tanto ammonta il valore delle società tech in Borsa) basterebbero a renderlo uno dei più importanti processi della Storia. Eppure, tra la folla di investitori in trepidante attesa, qualcuno si chiede se non ci sia molto di più in gioco dei soli destini di Borsa.
© RIPRODUZIONE RISERVATA