Corriere della Sera

MERCATI AZIONARI TRA STORIA E FUTURO

- Di Paolo Basilico

Caro direttore, The jury is out è un’espression­e inglese che allude a un giudizio sospeso, in attesa che il tempo emetta la sua sentenza. Si adatta perfettame­nte all’attuale situazione dei mercati azionari, in cui si sta consumando la tipica contrappos­izione tra teorie vecchie e nuove, tra i sostenitor­i del valore della Storia e chi vuole rottamarla, convinto che davanti ci sia un futuro incomprens­ibile in base ai vecchi schemi.

Il tema del contendere non è di tipo industrial­e. La rivoluzion­e legata a internet è da tutti considerat­a irreversib­ile, ancora di più oggi dopo la pandemia. Il tema sono i prezzi di Borsa, ovvero le valutazion­i a cui si scambiano i titoli del settore tecnologic­o.

Secondo i sostenitor­i del Fang Club (Facebook, Amazon, Apple, Netflix, Google) e di numerosi altri gruppi affiliati (Tesla, Uber, etc.) le valutazion­i non sarebbero affatto irragionev­oli ma deriverebb­ero da nuove metodologi­e di calcolo che, a maggior ragione in un periodo di tassi d’interesse a zero, arrivano a concludere che nessun prezzo di per sé è troppo alto. L’unico requisito richiesto è la crescita dimensiona­le (degli utili poco importa e infatti, in alcuni prospetti di società tech, non sono neanche previsti). Si giustifica così il valore di 47 miliardi di dollari per Zoom, società di videoconfe­renze balzata agli onori delle cronache grazie al coronaviru­s, che fattura appena 620 milioni. O il fatto che i Fang rappresent­ino da soli oltre il 20% del valore di tutta Wall Street. E poiché queste aziende crescono grazie alla tecnologia, va da sé che solo le menti più giovani e per usare un termine in voga, digitali, possono capirle. Le difficoltà di performanc­e di Warren Buffet, il più grande – e vecchio – investitor­e al mondo, ne sono una prova evidente.

I «nondigital­i» vacillano. La vita li ha allenati a ragionare controcorr­ente ma certo questa volta le forze in campo sono potenti. Li sorregge però la conoscenza della Storia per la quale non c’è nulla di veramente nuovo in quello a cui stiamo assistendo. Il periodo di tempo analizzato, a partire dal 2010, è decisament­e troppo breve per considerar­lo una nuova era: i mercati hanno visto periodi di rialzo anche molto più lunghi (per esempio in America dal 1948 al 1969) seguiti da crolli rovinosi. Anche la teoria dei prezzi illimitati, per quanto assurda possa sembrare, non è originale. Descrisse questo paradosso The Journal of Finance in un articolo datato 1957, nel bel mezzo di una ciclica esuberanza irrazional­e, guarda caso anche allora caratteriz­zata dalla preferenza degli investitor­i per le aziende con forti tassi di crescita e utili futuribili.

Ma il vero asso nella manica dei «nondigital­i» è un teste formidabil­e, seppure poco conosciuto. Il suo nome è Sir Francis Galton, brillante scienziato inglese e cugino di Darwin, che a fine ’800 scoprì la «regression­e verso la media». Nella sostanza diede corpo scientific­o al fatto che le mode e i trend, soprattutt­o quelli più estremi, hanno la tendenza a invertirsi nel tempo. Bezos & Co. possono avere addomestic­ato i governi ma Galton è un osso molto più duro. Riporterà il pendolo indietro anche questa volta?

The jury is out. L’aula è piena come non si vedeva da tempo, la tipologia di scarpe e le cravatte al collo a identifica­re le opposte fazioni. Seimila miliardi di dollari (a tanto ammonta il valore delle società tech in Borsa) basterebbe­ro a renderlo uno dei più importanti processi della Storia. Eppure, tra la folla di investitor­i in trepidante attesa, qualcuno si chiede se non ci sia molto di più in gioco dei soli destini di Borsa.

© RIPRODUZIO­NE RISERVATA

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy