Corriere della Sera

Soia, mascherine e tanto senso civico Tokyo batte (anche) la «seconda ondata»

- Irene Soave

Nelle ultime due settimane, a Tokyo — una delle megalopoli più densamente popolate al mondo, con 14 milioni di abitanti — si sono registrati solo 40 nuovi casi di Covid-19. Sembra che stia finendo, in Giappone, anche la «seconda ondata» dell’epidemia: in tutto il Paese ci sono stati 16 mila contagi circa (su 126 milioni di abitanti) e «appena» 784 morti. E ieri il premier Shinzo Abe ha decretato la fine dello stato di emergenza, proclamato il 7 aprile e già allentato, fuori dalla capitale, nelle scorse settimane.

La risposta giapponese alla crisi sembra adesso tra le più efficaci al mondo. Adesso: perché lungo tutta la prima ondata, iniziata con il primo paziente registrato il 16 gennaio, è sembrato che un disastro fosse sul punto di esplodere. Gli ingredient­i c’erano tutti. Quasi il 30% dei cittadini ha più di 65 anni. La Costituzio­ne, secondo la quale il premier Shinzo Abe ha pure potuto dichiarare lo «stato di emergenza», non consente divieti o multe — in uno spirito antiautori­tario — ma solo «consigli» da parte dei governator­i: una risposta che a molti, all’inizio, è sembrata troppo timida. Non a caso, mentre uno studio della società di sondaggi Morning Consult stima che in media i leader di tutto

Shinzo Abe Il premier giapponese è uno dei pochi che ha perso il 10% dei consensi durante la pandemia, mentre in media i leader li hanno visti aumentare

il mondo abbiano guadagnato il 9% dei consensi, Shinzo Abe è uno dei pochi che ne ha persi il 10% come solo il presidente del Brasile Jair Bolsonaro. Non hanno aiutato, poi, la scarsità dei tamponi somministr­ati; la sensazione di molti che la pandemia sia stata sottovalut­ata, all’inizio, per non rinviare le Olimpiadi, decisione che Abe non ha preso che a fine marzo; il caso della nave da crociera Diamond Princess, tenuta al largo di Tokyo in quarantena per quasi un mese fino a che 705 delle 3.700 persone a bordo si sono ammalate di Covid, e due sono morte. Quindi come ha fatto il Giappone a evitare il disastro? Le teorie sono disparate: uno studio dà molti meriti al natto, un composto di fagioli di soia fermentati comune in tavola, che potenziere­bbe la risposta immunitari­a; un altro, informale ma non faceto, alla scarsa presenza nella lingua giapponese di consonanti «plosive», che portano a sputacchia­re quando si parla. Ma l’ingredient­e chiave sarebbe, secondo la maggioranz­a degli esperti di politica pubblica, il senso civico. Certo, Abe è stato tra i primi leader al mondo a chiudere musei, parchi, cinema e cancellare gli eventi sportivi e musicali; e ha avuto il coraggio di chiudere le scuole a marzo, pur in una pioggia di critiche. Ma il fattore fondamenta­le, secondo i ricercator­i del Waseda Institute, è stata la cultura dei cittadini. Il forte senso di responsabi­lità individual­e dei giapponesi, già abituati peraltro culturalme­nte a limitare il contatto fisico, a usare le mascherine e a una scrupolosa igiene personale (e al religioso togliersi le scarpe al momento di entrare in casa), avrebbe fatto la differenza.

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