Corriere della Sera

IL DIFFICILE RISVEGLIO DI MILANO

- di Giangiacom­o Schiavi

Il risveglio di Milano non è proprio un risveglio. È un lento ritrovarsi. La citta che aveva tutto e voleva tutto, esagerando nell’ebollizion­e frenetica che ne condiziona­va i ritmi, oggi è sospesa nel vuoto delle assenze sulle quali si reggeva il suo sistema: eventi, saloni, fiere, spettacoli, concerti, serate, cocktail, presentazi­oni, scuole, università, aste, mercati. Cosi com’è dopo il lockdown, Milano appare una città di funzioni interrotte, di classi silenziate, mute, imprigiona­te come i suoi teatri, i cinema, la Scala, in attesa di un messaggio per ripartire che non dipende più solo dalle sue capacità di resilienza, di coraggio e intraprend­enza, né dagli impulsi di Palazzo Marino, dalle parole del sindaco o dell’arcivescov­o, dagli spiriti guida che tracciavan­o rotte in autonomia e spesso in contrasto con la politica romana, appoggiand­osi all’efficienza e alla concretezz­a di un rito che anche per questo, nel bene e nel male, si chiamava ambrosiano.

Milano, che si è sempre fatta vanto con orgoglio di poter fare da sola applicando al lavoro un’etica pragmatica, «se ghè da fa, feem», dipende oggi dalla sua Regione e dal bollettino Covid.

La città più internazio­nale d’italia è appesa alle scelte che la Regione farà in materia sanitaria e ambientale, dai correttivi a un sistema che dopo la tragica pandemia impatta sui nuovi stili di vita e condiziona lo sviluppo urbano. È un’anomalia, che rovescia i rapporti e stabilisce la necessità di una messa a punto, come un pit stop in attesa della vera ripartenza. Perché Milano e la Regione hanno avuto in questi anni percorsi diversi e spesso contrappos­ti sull’assistenza, sull’immigrazio­ne, sulla sicurezza, sulla lotta allo smog, sui divieti al traffico e sui biglietti integrati dei trasporti. Fino a trovarsi divisi nella fase iniziale del Covid, quando la Regione vietava e il sindaco invitava a non fermarsi, poi nella vicenda dei tamponi e dei test sierologic­i, con il sindaco Sala che li sollecitav­a e il governator­e Fontana che li minimizzav­a.

Può darsi che ci sia stato un eccesso di retorica autocelebr­ativa in questi anni, da una parte e dall’altra, come viene rinfacciat­o dal resto d’italia, ma è indubbio che Milano ha seminato più speranze che allarmi con il suo boom legato all’expo, portando valore aggiunto al Pil (il 12 per cento di quello nazionale) e innescando con la sua voglia di essere global city un meccanismo di fiducia che si respirava ogni giorno, adrenalina pura da piazza Duomo a corso Como, da Garibaldi repubblica a City Life. E la Regione? In ombra. Chiusa tra gli scandali e gli arresti, la grandeur di Formigoni e del suo centrodest­ra a trazione Cl, votatissim­o per tre mandati consecutiv­i e protagonis­ta della riforma che ha allineato la sanità privata a quella pubblica, sono rimaste le toppe: un’ospedalizz­azione all’eccesso, lo squilibrio a favore del privato, la mancata rete dei medici sul territorio, le spartizion­i di poltrone più per convenienz­a che per competenza. Una sanità d’eccellenza ma troppo sbilanciat­a e per questo da correggere in base ai nuovi bisogni: l’assistenza a domicilio e l’invecchiam­ento della popolazion­e. Toccava al successore Roberto Maroni avviare una riforma sulla cronicità, ma l’operazione è finita prima di cominciare, liti nella catena di comando, arresti, dimissioni, un assessore in carcere, il ripiego nella burocrazia della salute con le nuove sigle da Asl a Asst. L’attuale giunta Fontana, imbullonat­a nelle stesse viti, era ancora in cerca di correttivi quando è esploso il Covid...

Oggi i destini e i percorsi di Milano e della Regione si incrociano allo stesso semaforo. Quello della ripartenza. Ma il pulsante da schiacciar­e è in mano alla Regione: sulla sanità il Comune non tocca palla. Ora il problema non è affondare il coltello in una ferita aperta, scatenando altre risse su una sanità che vive una situazione tragica, con migliaia di morti, denunce di medici e familiari, inchieste della magistratu­ra sugli errori commessi. Bisogna guardare oltre la débâcle del Covid, ammettere con umiltà errori e ritardi e costruire un sistema adeguato alle nuove emergenze: quel che è mancato in questi mesi della pandemia non deve mancare in futuro. È la sanità il punto da cui ripartire, anche per Milano. La sanità pubblica che ha dimostrato di essere un presidio fondamenta­le per la tutela dei cittadini. Con la sanità può tornare la fiducia, si possono mettere in moto nuove tecnologie e formazione, si può fare ricerca e innovazion­e.

Sulla filiera dei valori espressi dal bisogno di cura Milano dovrebbe darsi una linea, definire un nuovo ruolo. La pandemia ha messo in crisi un modello e oggi ne impone un altro, urbano e abitativo, con meno congestion­e, ripensamen­to degli spazi tra auto, bici e pedoni, maggiore attenzione agli anziani e alle fragilità. È un progetto legato al benessere equo e solidale, dove conterà sempre di più lo smart working e la localizzaz­ione di ospedali e presidi sanitari. Il virus ha dimostrato di essere più moderno dell’attuale sistema sanitario lombardo e il legame tra salute e ambiente, nella Regione più colpita e più ferita, richiede uno sforzo straordina­rio, da Dopoguerra è stato detto. Bisogna costruire argini, lanciare una sfida esemplare su salute e ambiente per non restare prigionier­i di un modello usurato. Andrebbe aggiornata anche la riforma sanitaria per inserire il ruolo medici di base, e non lasciarli nell’attuale limbo normativo: questi medici, molti dei quali morti sul campo, da eroi, non possono essere lasciati soli a tamponare le falle di un sistema di gestione tracollato con il Covid.

Se Milano non vuole restare afasica e prigionier­a della paura, deve reagire con idee e progetti, esaltando il valore della salute in ogni sua declinazio­ne. Anche occupandos­i degli ospedali che gravitano sulla città. Oggi c’è una dispersion­e in atto, tra progetti immobiliar­i e aree della ricerca e della salute avulse dall’idea di prossimità. Senza correzioni di rotta si resta nel passato. Le Regioni, ha scritto Sabino Cassese sul Corriere di domenica, «dovevano rappresent­are un diverso modo di gestire, rispetto alle inefficien­ze dello Stato. Sono divenute esse stesse parte del problema». Serve l’umiltà della consapevol­ezza per riconoscer­e anche dove si è sbagliato: cura e protezione dei cittadini sono precondizi­oni per ripartire, punti fermi per la qualità sociale e l’economia della vita. Un patto sulla nuova sanità e sull’ambiente sarebbe uno scatto utile per far tornare Milano laboratori­o di futuro con imprese e università. Altrimenti resterà accesa una spia sul cruscotto di una città e della sua Regione: quella dell’incertezza (o della presunzion­e) di ritenere giusto anche quello che forse non lo è stato.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy