IL DIFFICILE RISVEGLIO DI MILANO
Il risveglio di Milano non è proprio un risveglio. È un lento ritrovarsi. La citta che aveva tutto e voleva tutto, esagerando nell’ebollizione frenetica che ne condizionava i ritmi, oggi è sospesa nel vuoto delle assenze sulle quali si reggeva il suo sistema: eventi, saloni, fiere, spettacoli, concerti, serate, cocktail, presentazioni, scuole, università, aste, mercati. Cosi com’è dopo il lockdown, Milano appare una città di funzioni interrotte, di classi silenziate, mute, imprigionate come i suoi teatri, i cinema, la Scala, in attesa di un messaggio per ripartire che non dipende più solo dalle sue capacità di resilienza, di coraggio e intraprendenza, né dagli impulsi di Palazzo Marino, dalle parole del sindaco o dell’arcivescovo, dagli spiriti guida che tracciavano rotte in autonomia e spesso in contrasto con la politica romana, appoggiandosi all’efficienza e alla concretezza di un rito che anche per questo, nel bene e nel male, si chiamava ambrosiano.
Milano, che si è sempre fatta vanto con orgoglio di poter fare da sola applicando al lavoro un’etica pragmatica, «se ghè da fa, feem», dipende oggi dalla sua Regione e dal bollettino Covid.
La città più internazionale d’italia è appesa alle scelte che la Regione farà in materia sanitaria e ambientale, dai correttivi a un sistema che dopo la tragica pandemia impatta sui nuovi stili di vita e condiziona lo sviluppo urbano. È un’anomalia, che rovescia i rapporti e stabilisce la necessità di una messa a punto, come un pit stop in attesa della vera ripartenza. Perché Milano e la Regione hanno avuto in questi anni percorsi diversi e spesso contrapposti sull’assistenza, sull’immigrazione, sulla sicurezza, sulla lotta allo smog, sui divieti al traffico e sui biglietti integrati dei trasporti. Fino a trovarsi divisi nella fase iniziale del Covid, quando la Regione vietava e il sindaco invitava a non fermarsi, poi nella vicenda dei tamponi e dei test sierologici, con il sindaco Sala che li sollecitava e il governatore Fontana che li minimizzava.
Può darsi che ci sia stato un eccesso di retorica autocelebrativa in questi anni, da una parte e dall’altra, come viene rinfacciato dal resto d’italia, ma è indubbio che Milano ha seminato più speranze che allarmi con il suo boom legato all’expo, portando valore aggiunto al Pil (il 12 per cento di quello nazionale) e innescando con la sua voglia di essere global city un meccanismo di fiducia che si respirava ogni giorno, adrenalina pura da piazza Duomo a corso Como, da Garibaldi repubblica a City Life. E la Regione? In ombra. Chiusa tra gli scandali e gli arresti, la grandeur di Formigoni e del suo centrodestra a trazione Cl, votatissimo per tre mandati consecutivi e protagonista della riforma che ha allineato la sanità privata a quella pubblica, sono rimaste le toppe: un’ospedalizzazione all’eccesso, lo squilibrio a favore del privato, la mancata rete dei medici sul territorio, le spartizioni di poltrone più per convenienza che per competenza. Una sanità d’eccellenza ma troppo sbilanciata e per questo da correggere in base ai nuovi bisogni: l’assistenza a domicilio e l’invecchiamento della popolazione. Toccava al successore Roberto Maroni avviare una riforma sulla cronicità, ma l’operazione è finita prima di cominciare, liti nella catena di comando, arresti, dimissioni, un assessore in carcere, il ripiego nella burocrazia della salute con le nuove sigle da Asl a Asst. L’attuale giunta Fontana, imbullonata nelle stesse viti, era ancora in cerca di correttivi quando è esploso il Covid...
Oggi i destini e i percorsi di Milano e della Regione si incrociano allo stesso semaforo. Quello della ripartenza. Ma il pulsante da schiacciare è in mano alla Regione: sulla sanità il Comune non tocca palla. Ora il problema non è affondare il coltello in una ferita aperta, scatenando altre risse su una sanità che vive una situazione tragica, con migliaia di morti, denunce di medici e familiari, inchieste della magistratura sugli errori commessi. Bisogna guardare oltre la débâcle del Covid, ammettere con umiltà errori e ritardi e costruire un sistema adeguato alle nuove emergenze: quel che è mancato in questi mesi della pandemia non deve mancare in futuro. È la sanità il punto da cui ripartire, anche per Milano. La sanità pubblica che ha dimostrato di essere un presidio fondamentale per la tutela dei cittadini. Con la sanità può tornare la fiducia, si possono mettere in moto nuove tecnologie e formazione, si può fare ricerca e innovazione.
Sulla filiera dei valori espressi dal bisogno di cura Milano dovrebbe darsi una linea, definire un nuovo ruolo. La pandemia ha messo in crisi un modello e oggi ne impone un altro, urbano e abitativo, con meno congestione, ripensamento degli spazi tra auto, bici e pedoni, maggiore attenzione agli anziani e alle fragilità. È un progetto legato al benessere equo e solidale, dove conterà sempre di più lo smart working e la localizzazione di ospedali e presidi sanitari. Il virus ha dimostrato di essere più moderno dell’attuale sistema sanitario lombardo e il legame tra salute e ambiente, nella Regione più colpita e più ferita, richiede uno sforzo straordinario, da Dopoguerra è stato detto. Bisogna costruire argini, lanciare una sfida esemplare su salute e ambiente per non restare prigionieri di un modello usurato. Andrebbe aggiornata anche la riforma sanitaria per inserire il ruolo medici di base, e non lasciarli nell’attuale limbo normativo: questi medici, molti dei quali morti sul campo, da eroi, non possono essere lasciati soli a tamponare le falle di un sistema di gestione tracollato con il Covid.
Se Milano non vuole restare afasica e prigioniera della paura, deve reagire con idee e progetti, esaltando il valore della salute in ogni sua declinazione. Anche occupandosi degli ospedali che gravitano sulla città. Oggi c’è una dispersione in atto, tra progetti immobiliari e aree della ricerca e della salute avulse dall’idea di prossimità. Senza correzioni di rotta si resta nel passato. Le Regioni, ha scritto Sabino Cassese sul Corriere di domenica, «dovevano rappresentare un diverso modo di gestire, rispetto alle inefficienze dello Stato. Sono divenute esse stesse parte del problema». Serve l’umiltà della consapevolezza per riconoscere anche dove si è sbagliato: cura e protezione dei cittadini sono precondizioni per ripartire, punti fermi per la qualità sociale e l’economia della vita. Un patto sulla nuova sanità e sull’ambiente sarebbe uno scatto utile per far tornare Milano laboratorio di futuro con imprese e università. Altrimenti resterà accesa una spia sul cruscotto di una città e della sua Regione: quella dell’incertezza (o della presunzione) di ritenere giusto anche quello che forse non lo è stato.