Al Papa Giovanni calano gli accessi. «Pazienti curati meglio perché interveniamo prima»
Il capo del Pronto soccorso: pochi in rianimazione
La fine della fase più acuta dell’emergenza ha fatto scattare una serie di dinamiche che oggi giovano a tutti, agli ospedali ma anche e soprattutto ai pazienti. È ciò che sottolinea Roberto Cosentini, il direttore del Pronto soccorso dell’ospedale Papa Giovanni di Bergamo, in trincea contro il coronavirus per almeno due lunghissimi mesi. Come esempio il medico cita l’ultimo paziente con sintomi sospetti e sottoposto a tampone: «Si è presentato dopo un solo giorno in cui aveva la febbre. Non posso non ricordare che all’inizio dell’emergenza il tempo di accesso medio al Pronto soccorso, partendo dai primi sintomi, era di sette giorni. Cioè spesso si aspettava troppo».
Gli ospedali non sono più al limite del collasso, come a metà marzo, i medici di base non sono più disorientati e privi di dispositivi di sicurezza, i pazienti stessi hanno seguito l’evolversi della grave crisi sanitaria e probabilmente oggi sono più attenti e informati: «Ci sono tanti fattori di contesto che stanno rendendo la situazione meno grave — prosegue Cosentini —. Ciò che è successo al virus io non lo so e non mi sbilancio: probabilmente in una prima fase, come accade per altre infezioni, era rinvigorito dal fatto di poter passare rapidamente da una persona all’altra. Ma ora non lo so, i sintomi sono comunque molto simili a febbraio e marzo, è cambiato sicuramente il fatto che riusciamo a vederli prima e a valutarli con più calma». Ed è il motivo per cui al Papa Giovanni non ci sono più nuovi contagiati che dal Pronto soccorso passano alla terapia intensiva, perché non c’è più bisogno di cure rapide e incisive in tempi brevi. Le infezioni acute erano 90 al giorno nella fase di picco, oggi si arriva a una al massimo nell’ospedale di Bergamo.
«I primi casi sospetti, a fine febbraio, erano arrivati con la
d Ciò che è successo al virus io non lo so e non mi sbilancio: forse in una prima fase, come per altre infezioni, passava più rapidamente da una persona all’altra
tosse — ricorda il direttore del Pronto soccorso —. Inequivocabili, nell’indicarci il Covid-19, sono stati anche la perdita dell’olfatto e del gusto, che si manifestano ancora oggi, e la polmonite. Ma ricordo chiaramente che una sorta di “certificazione” sul fatto che il coronavirus stesse già circolando, arrivò da tanti pazienti che avevano l’influenza, ma con una spossatezza molto più accentuata rispetto al solito: infatti arrivavano anche molti giovani, non solo anziani, perché non sopportavano quella situazione particolare».