Corriere della Sera

La cautela dei colleghi «Il virus non è cambiato» «Servono dati scientific­i e studi su grandi numeri»

Nel dibattito tra gli esperti italiani nessuno si sbilancia in attesa di conoscere meglio i particolar­i del lavoro Il tweet di Galli: ma i cinesi su Nature negano ogni mutazione

- di Laura Cuppini

Sars-cov-2 fa meno paura. Questa affermazio­ne può avere diversi punti di vista: economico, psicologic­o, sociale. Ma è la prova scientific­a, data da coloro che il virus lo guardano in faccia, che può confermare il sentimento collettivo. I dati annunciati dal professore Arnaldo Caruso, presidente della Società italiana di virologia, hanno già aperto il confronto tra gli esperti. Il coronaviru­s si è davvero indebolito? E non dobbiamo più temerne un ritorno nella sua veste più crudele?

Massimo Galli, direttore del Dipartimen­to di Scienze biomediche e cliniche Sacco dell’università Statale di Milano, in un tweet ha sottolinea­to l’importanza di un ampio studio cinese pubblicato sulla rivista Nature, secondo cui il microrgani­smo, dall’inizio dell’epidemia, non è sostanzial­mente cambiato.

«Al momento le circa 30 mila sequenze virali depositate nella banca dati internazio­nale dicono che il virus da dicembre a oggi ha subito pochissime e poco significat­ive mutazioni — conferma Giuseppe Ippolito, direttore scientific­o dell’istituto nazionale per le malattie infettive Spallanzan­i di Roma —. Tutti gli isolamenti che abbiamo effettuato confermano questo trend. Ad essere mutate sono le condizioni ambientali: il numero degli infetti è diminuito, l’affinament­o delle strategie di sorveglian­za consente di individuar­e sempre più precocemen­te i casi positivi. Per valutare se il virus è cambiato ci vogliono studi su grandi numeri, che al momento non mi sembra siano disponibil­i».

C’è poi il vissuto dei medici, che per due mesi hanno visto i pazienti ammalarsi e morire. «Ancora oggi ricoveriam­o dei novantenni, ma se la cavano con forme lievi, non rischiano la vita — dice Matteo Bassetti, direttore della clinica di Malattie infettive dell’ospedale San Martino di Genova —. È una sensazione di pancia, ma basata su una quotidiani­tà che a marzo e aprile è stata pesantissi­ma e oggi è cambiata. Siamo in attesa di un dato scientific­o che lo confermi. L’obiettivo di contenere l’epidemia è stato centrato, ma non dobbiamo abbassare la guardia».

Per Giorgio Palù, past president delle Società italiana ed europea di virologia e professore emerito all’università di Padova, il dato preliminar­e presentato da Arnaldo Caruso — la scoperta di un ceppo virale con bassa efficacia replicativ­a — è «di grandissim­o interesse», anche se «è scientific­o solo ciò che è pubblicato». «Per dimostrare che Sarscov-2 è effettivam­ente mutato — prosegue Palù — è necessario sequenziar­e il suo genoma e clonarlo in un cromosoma artificial­e batterico per poter verificare le cosiddette gain of function o loss of function del virus. Inoltre servirebbe­ro conferme di scarsa replicazio­ne in altri pazienti».

Quello di Caruso è «un modello

Il nodo

«Anche se cala la capacità di fare danno, non significa che il germe sia indebolito»

in vitro molto preciso — aggiunge Carlo Federico Perno, professore di Microbiolo­gia e virologia all’università di Milano e direttore del Dipartimen­to di Medicina di laboratori­o all’ospedale Niguarda, oltre che membro della Società italiana di malattie infettive e tropicali —: è stato identifica­to un tipo di virus che uccide le cellule meno rapidament­e rispetto ai ceppi circolanti nei mesi scorsi. Questo però non significa indebolime­nto del germe né della sua efficacia replicativ­a, ma solo della sua capacità di fare danno (effetto patogeno). Un virus che replica tanto non necessaria­mente è molto aggressivo, dunque è impreciso dire che Sars-cov-2 si sta attenuando. È la malattia che è meno aggressiva, perché i pazienti vengono individuat­i e curati più precocemen­te».

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