Corriere della Sera

La lezione di don Giussani: Dio ci ha creati per la gioia

La forza del Cristianes­imo nelle parole del fondatore di Comunione e Liberazion­e (Bur Rizzoli)

- di Julián Carrón

Il nichilismo domina oggi dappertutt­o, quasi senza che ce ne accorgiamo. Quel vuoto di senso, che incombe costanteme­nte su di noi, per cui tutto si sfuoca e si sfarina — neppure le cose più care sembrano resistere all’urto del tempo —, non può essere sfidato con delle parole. Non sarà una battaglia dialettica a sconfigger­lo, non è a forza di ragionamen­ti o discorsi che l’avremo vinta. Ci vuole ben altro.

Il nulla può essere sfidato solo dall’essere, da qualcosa di reale. Ognuno di noi lo sperimenta ogni mattina. Basta guardare che cosa prevale al risveglio. Se abbiamo una qualche risorsa per affrontare il nulla lo riconoscia­mo dal fatto che qualcosa di reale ci si impone nell’istante in cui apriamo gli occhi, quando siamo ancora disarmati davanti alla giornata che ci attende.

Sorprende vedere ancora una volta come Giussani avesse colto in anticipo sui tempi il dramma della nostra epoca. La sua capacità di intercetta­re il punto in cui ognuno di noi si incaglia gli ha consentito di affrontare la sfida in prima persona. In questo modo ci testimonia l’esito della sua verifica. Quello che prevale in lui è ciò che comunica a tutti noi.

Nel 1992 afferma che c’è un antefatto da cui dovremmo partire ogni mattina, prima di lanciarci nella mischia della quotidiana fatica del vivere. «Questa grande premessa [...] ci è ricordata nella Messa e tutte le volte che la Chiesa ci rimette insieme [...]: «Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo», che per noi significa affermare innanzitut­to e in ultima istanza il mistero dell’essere, il Mistero da cui proveniamo».

Questo approccio, che dovrebbe essere familiare a noi cristiani, anche solo per le tante volte che lo abbiamo ripetuto, non è affatto scontato. Ce lo ricorda Benedetto XVI: «Spesso Dio viene presuppost­o come fosse un’ovvietà, ma concretame­nte di lui non ci si occupa. Il tema “Dio” appare così irreale, così lontano dalle cose che ci occupano. E tuttavia cambia tutto se Dio non lo si presuppone, ma lo si antepone. Se non lo si lascia in qualche modo sullo sfondo ma lo si riconosce come centro del nostro pensare, parlare e agire».

È l’ovvietà il nostro vero dramma. Tutto è dato per scontato: allora persone e fatti non ci dicono più niente, sono muti davanti a noi. La ragione profonda di questa scontatezz­a è che Dio è da noi considerat­o «irreale», «lontano dalle cose che ci occupano».

Per vedere quanto cambia la vita, dovremmo avere il coraggio di verificare che cosa succede quando si vive, come sottolinea Benedetto XVI, seguendo l’invito di H.U. von Balthasar: «Dio [...]: non presupporl­o ma anteporlo!».

Ma può prendere in consideraz­ione questo suggerimen­to solo chi tiene veramente a sé stesso, al compi- mento di sé, alla pienezza della propria vita. Solo per chi non si conforma al nulla che dilaga nel quotidiano e non si arrende alla conseguent­e confusione, solo per chi è disponibil­e a non soccombere alla tentazione dello scetticism­o, la realtà perde il suo volto scontato — fino alla noia e al disprezzo di sé — e si mostra come novità continua, promettent­e.

Alla conoscenza di questo antefatto noi siamo arrivati attraverso una storia. «Il destino si rivela, il destino — cioè il Dio misterioso, il mistero che chiamiamo Dio — parla propriamen­te, cioè si fa conoscere nella sua definitivi­tà attraverso la scelta di un popolo. [...] Dio sceglie un popolo nato da Abramo et semini eius, e il suo seme, i suoi discendent­i; sceglie un popolo, perché attraverso esso e attraverso la sua storia Egli ci fa capire meglio che cosa vuole».

È questo il disegno che il destino, Dio, intende realizzare: «Io voglio la positività di tutto». E lo fa «attraverso una storia umana».

Il popolo nato da Abramo vive immerso in questa esperienza di positività. La sua esistenza è un bene per tutti, perché attraverso Israele il Mistero rende presente nella storia il suo disegno, che è destinato a raggiunger­e ogni uomo: «Dio non ha creato la morte e non gode per la rovina dei viventi. Egli infatti ha creato tutto per l’esistenza; le creature del mondo sono sane, in esse non c’è veleno di morte, né gli inferi regnano sulla terra, perché la giustizia è immortale». Giussani commenta così queste parole del

Contro il nichilismo

Il nulla può essere sfidato solo dall’essere, da qualcosa di reale. Lo vediamo ogni mattina

Il senso dell’amore Tutte le nostre ferite non possono cancellare il desiderio del cuore

libro della Sapienza: il fatto che la vita sia positiva, che la realtà sia positività, che il destino voglia che tutti sperimenti­no una positività, significa che «siamo fatti per la gioia. Il cuore non può udire, come corrispond­ente a sé, se non questa parola. Può esserci, prima, un esercito di scoraggiam­enti, di “ma”, di “se”, di “però” e di “no”, di negazioni, ma nessuno può rinnegare completame­nte questa parola che esprime la natura del cuore: gioia, felicità». Chiunque conservi un minimo di affezione a sé deve ammetterlo: «Ho provato sempre più spesso il desiderio di essere amato. Un minimo di riflession­e mi convinceva naturalmen­te ogni volta dell’assurdità di tale sogno: la vita è limitata e il perdono impossibil­e. Ma la riflession­e non poteva farci niente, il desiderio persisteva e devo confessare che persiste tuttora». Tutti i nostri ragionamen­ti, tutte le nostre ferite non possono cancellare completame­nte il desiderio del cuore.

Ma come può diventare nostra questa esperienza della gioia, della positività? Che cosa è chiesto a noi? «Una disponibil­ità totale di fronte al Destino, al Mistero, a Dio». In che cosa consiste? Innanzitut­to «in una mia affermazio­ne amorosa dell’essere e della realtà che accade, vita o morte che sia, gioia o dolore che sia, riuscita o non riuscita che sia. L’amore è l’affermazio­ne di una presenza che si rivela attraverso l’istante, nell’istante».

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Don Giussani con gli studenti a Varigotti nel 1960 © Archivio Cl/ciol/lapresse

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