Scherzi telefonici
Qualche sera fa, sul telefono di diversi milanesi, è giunto un messaggio della sempre affidabile sanità lombarda: «Ats Milano. Gentile Sig/sig.ra, lei risulta contatto di caso di coronavirus». Il primo choc è stato sintattico. È probabile che l’autore del testo avesse intenzione di scrivere: «Lei è entrato in contatto con una persona positiva al coronavirus». E di sicuro lo avrebbe scritto, se avesse conosciuto l’italiano: un requisito che però è richiesto di rado, almeno in Italia. Decrittata in qualche modo la funesta informazione, il destinatario apprendeva di doversi ritirare in quarantena, con l’obbligo di non mettere il naso mascherato fuori di casa e di ridurre al minimo lo struscio coi conviventi. A quel punto il suo sguardo sarà scivolato in fondo al messaggio, alla ricerca di un numero di telefono. Mai sforzo risultò più vano: quando vogliono, gli enti pubblici sanno essere riservati. Possiamo soltanto immaginare la notte di quel povero disgraziato, raggiunto tra capo e collo da una notizia del genere: l’avrà trascorsa barricato nello sgabuzzino, a rivangare col pensiero gli incontri ravvicinati delle ultime settimane e ad ammansire il coniuge ansioso e rivendicativo. Senonché il giorno dopo Ats Milano — dove potrebbe celarsi un reparto per gli scherzi telefonici o, peggio, un laboratorio per testare la app Immuni — ha inviato un altro messaggio: «Errore informatico, ci scusiamo per il disagio». Figuriamoci, poteva capitare a chiunque.
E però capita sempre a loro.