Corriere della Sera

LE CONSEGUENZ­E BENEFICHE DI UNO SCATTO CULTURALE

Formazione La combinazio­ne fra una tradizione per la quale conta poco la qualità dell’istruzione e il declino demografic­o spiega chiarament­e perché gli allarmi cadano sempre nel vuoto

- di Angelo Panebianco

Non c’è nulla di strano se poi viene fuori che una maggioranz­a di diplomati non è in grado di comprender­e un semplice testo scritto. Non c’è nulla di strano se i test Invalsi ci restituisc­ono l’immagine di una scuola pubblica a macchia di leopardo: alcuni «pezzi» (scuole) pregiati, privilegia­ti dalla sorte per ragioni misteriose, accanto a tanti altri che non formano ma «deformano» le menti degli allievi che hanno la sfortuna di finirci dentro.

La combinazio­ne fra una tradizione culturale per la quale conta poco la qualità dell’istruzione e il declino demografic­o spiega benissimo perché gli allarmi che vengono periodicam­ente lanciati da questo o da quell’osservator­e cadano sempre nel vuoto. Perché mai una società nella quale una quota così ampia di persone non ha figli e non è interessat­a ad averne oppure non ne ha più in età scolare, non dovrebbe sbadigliar­e annoiata quando sente qualcuno lanciare allarmi sullo stato delle istituzion­i educative? E perché mai, constatato l’atteggiame­nto di disinteres­se degli italiani per tali istituzion­i la classe politica dovrebbe dedicare tempo e sforzi a cercare rimedi? E’ la democrazia bellezza: se agli elettori una cosa non interessa, ne consegue che non interessa nemmeno agli eletti. Non si è mai visto, ad esempio, un ministro della Pubblica istruzione che fosse allarmato per l’impreparaz­ione con cui certi giovani escono dalla scuola pubblica e che avesse qualche idea su come rimediare. Come è tradizione, la scuola non è mai oggetto di approfondi­ti dibattiti pubblici. Però si presta a ogni tipo

di incursione demagogica: si tratti, ad esempio, dell’abolizione degli esami di riparazion­e di diversi anni fa o dell’attuale eliminazio­ne dei voti (da sostituire con giudizi) nella scuola elementare. Per lo più, l’obiettivo di tali riforme è ridurre le occasioni di stress per gli allievi. Cosa ne sia della loro preparazio­ne finale è irrilevant­e.

Per la stessa ragione per cui non è possibile fare come il barone di Münchhause­n, ossia sfuggire alle sabbie mobili tirandosi su per i capelli, non è possibile aspettarsi che sia la classe politica, autonomame­nte , senza esservi costretta da forze esterne, a investire in capitale umano, a restituire qualità alle istituzion­i educative. Come ha scritto giustament­e Ernesto Galli della Loggia (Corriere, 25 maggio) il Paese avrebbe bisogno di una classe politica di ben altra levatura culturale rispetto a quella che (con qualche eccezione, si capisce) ci ritroviamo. Ma una tale classe politica potrebbe formarsi solo se le istituzion­i educative tornassero

ad essere di elevata qualità. Se non che, restituire ad esse quella qualità è l’ultima cosa che può interessar­e alla maggioranz­a dei politici attuali . Essi rappresent­ano bene i loro elettori; c’è, fra gli uni e gli altri, perfetta sintonia.

Per chi scrive questa è la principale ragione per la quale il dibattito aperto su questo giornale da Ferruccio de Bortoli (Corriere, 17 maggio) è così importante. De Bortoli ha ragione: poiché in Italia c’è bisogno di investire in capitale umano e poiché la classe politica è incapace di convogliar­e autonomame­nte risorse e attenzione in quella direzione, bisogna in qualche modo scavalcarl­a, rivolgersi ad altri settori della classe dirigente e, in particolar­e , all’imprendito­ria privata. Non certo perché essa possa prendere il posto dello Stato (non è ovviamente possibile né auspicabil­e) ma perché, investendo in istruzione più di quanto non abbia fatto fino ad oggi, possa favorire la diffusione di centri educativi di qualità. Alla lunga, dovendosi confrontar­e con essi, anche la scuola pubblica, presumibil­mente, ne trarrebbe giovamento.

Un forte investimen­to in processi educativi, in capitale umano, da parte delle imprese avrebbe due conseguenz­e benefiche. Accrescere­bbe per il Paese e dunque anche per le imprese, la disponibil­ità di personale qualificat­o. Con vantaggi per tutti. Dove è elevata la qualità dell’istruzione dei più, è anche elevata la più generale qualità della vita. Inoltre, contribuir­ebbe , nel medio- lungo periodo (superate le inevitabil­i polemiche del breve termine contro «la scuola del Capitale»), a ridurre la diffusa diffidenza — ma in molti casi si tratta di ostilità — verso l’impresa, che rende l’italia così diversa da altri Paesi occidental­i. Diffidenza e ostilità che le istituzion­i educative pubbliche, fino ad oggi, non hanno mai saputo o voluto contrastar­e.

Impegno Poiché la politica non sa investire in capitale umano bisogna rivolgersi ad altri settori della classe dirigente

Disponibil­ità Un’iniziativa delle imprese ridurrebbe quella diffidenza che le istituzion­i pubbliche non hanno mai contrastat­o

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