Corriere della Sera

IL COMPAGNO DI BANCO PIÙ BRAVO

- di Massimo Nava

Alcuni, come Walter, come chi scrive, come Vittorio Zucconi, scomparso un anno fa, giocavano a fare i giornalist­i alla «Zanzara», il giornalett­o del liceo classico Parini. Alcuni cominciaro­no a giocare con le pistole, quelle vere. La tragedia di una generazion­e è racchiusa in questa traiettori­a obliqua di sogni normali e sogni avvelenati, di sguardi che si incrociano e talvolta si riconoscon­o, ma non frenano il grilletto. I ricordi si annebbiano, i sopravviss­uti sono sempre meno, la memoria si nutre di tante tracce: quelle lucidissim­e degli scritti di Tobagi (nella foto), che aveva capito in anticipo la discesa del Paese nel baratro, quelle di quanti gli hanno voluto bene, e quelle imprecise della verità storica e giudiziari­a, sepolta — quest’ultima — nella cuccia sporca della coscienza, il pentitismo dei suoi assassini.

E poi ci sono i frammenti di chi c’era in quelle ore, impressi in ordine sparso, lampi che insieme puntellano il racconto ricostruit­o negli archivi. La telefonata del capocronis­ta, «corri, c’è stato un attentato», uno dei tanti di quegli anni. Una tovaglia insanguina­ta, la pioggia che bagna il mio taccuino, il direttore Franco Di Bella, chino sul cadavere, la mano sulla fronte, come per nascondere le lacrime. Piange accanto a lui il vice direttore, Barbiellin­i. E poi, in serata, ancora Di Bella che entra in sala Albertini, dove allora si faceva il giornale, si avvicina e incoraggia chi deve mettere insieme gli appunti e fingere freddezza, mentre le mani tremano sulla macchina da scrivere.

Un altro frammento è l’ultima volta che l’ho visto vivo, sotto i portici di Torino, insieme a raccontare l’operazione antiterror­ismo che sgominò la colonna piemontese delle Br e portò alla ribalta il primo pentito, Patrizio Peci. Tobagi sapeva di essere minacciato, ma era calmo, serafico. «Ho bisogno di dormire molto». Era il compagno di banco più anziano e più bravo. Gli chiesi: quando trovi il tempo di studiare così tanto?

La direzione assegnò una scorta ai cronisti che si occupavano di terrorismo. Il mio angelo custode si chiamava Walter. Ai funerali, in mezzo a quel dolore immenso di una città annientata, piangeva anche lui, come tutti, un gigante con la pistola sotto la giacca, ma fragile.

Piangevano i colleghi, di dolore e paura, e questo è un altro frammento. A chi poteva toccare la prossima volta? Credo che Tobagi, ai giovani angosciati dal presente, a quelli che scambiano un confinamen­to con un coprifuoco, raccontere­bbe quegli anni, che erano davvero peggiori, non per consolare, ma per non perdere la misura delle cose. A questo servono gli anziani.

Piangevano anche tanti lettori, accorsi a dare l’ultimo saluto. Era gente di casa, parte di una grande famiglia ferita, gente che aveva capito che per il «Corriere» si poteva anche morire. C’è un ultimo flash, lo stadio di San Siro, un collaborat­ore di «Milan-inter» raccoglie i commenti del post partita. Il ragazzo che giocava a fare il giornalist­a alla «Zanzara» sta crescendo. Diventerà un grande del mestiere. La sua giovinezza sarà troppo breve.

 ??  ?? La cerimonia ieri in via Salaino a Milano, dove una targa ricorda il punto in cui i terroristi uccisero Walter Tobagi: da sinistra il direttore del «Corriere della Sera», Luciano Fontana; il sindaco Beppe Sala; la vedova Stella; la figlia Benedetta (foto di Matteo Corner/ Ansa). Qui sotto: Tobagi (Spoleto, Perugia, 18 marzo 1947-Milano, 28 maggio 1980)
La cerimonia ieri in via Salaino a Milano, dove una targa ricorda il punto in cui i terroristi uccisero Walter Tobagi: da sinistra il direttore del «Corriere della Sera», Luciano Fontana; il sindaco Beppe Sala; la vedova Stella; la figlia Benedetta (foto di Matteo Corner/ Ansa). Qui sotto: Tobagi (Spoleto, Perugia, 18 marzo 1947-Milano, 28 maggio 1980)
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