Corriere della Sera

Quell’orrore all’heysel 35 anni fa Un film di cui ci accorgemmo soltanto dopo

- di Mario Sconcerti

Per capire la tragedia dell’heysel è importante aver bene in mente la suddivisio­ne delle tifoserie nello stadio. Quella juventina era stata concentrat­a nella curva sulla destra rispetto alla tribuna centrale. Era divisa in tre settori chiamati O, M e N. Stessa divisione per l’altra curva ma concentraz­ioni diverse. Nei settori Y ed X erano stati messi tifosi inglesi, del Liverpool, certo, ma anche alcuni Headhunter, i cacciatori di teste del Chelsea, una frangia hooligan particolar­mente violenta. Nell’ultimo settore, a completame­nto della curva, una specie di zona neutra, il settore Z. I biglietti non facevano parte del pacchetto del tifo organizzat­o, erano a disposizio­ne di chi riusciva ad acquistarl­i. Amici, genitori e figli, parenti emigranti da tanti Paesi, semplici turisti del grande calcio, si ritrovaron­o in quel settore debole per convenzion­e. La partita era prevista alle 20.15. Era un giorno come questi di fine maggio, quando le giornate sono le più lunghe dell’anno. C’era aria buona intorno e un celeste che non diventava mai notte. Tutto accadde in modo meno chiaro di quanto sembrò dopo, quando la tragedia divenne fredda e coprì ogni

I 39 morti

La curva Z, l’assalto degli hooligans del Liverpool. E i 39 morti tra i tifosi della Juventus. Boniek non volle il premio partita: «Non si è giocato»

emozione. Ero in un posto della tribuna stampa collocato tra l’area di rigore e il centrocamp­o, nella parte sinistra dello stadio, a una trentina di metri dal settore Z che faceva angolo con la nostra tribuna. Tra noi e loro uno spicchio vuoto, uno spazio aperto come una frontiera fra i due settori. Erano circa le 19.20 quando si cominciò a vedere agitazione nei settori di curva inglesi. Si attaccavan­o alle reti di sbarrament­o e spingevano per buttarle giù. Avveniva nella distrazion­e generale, tra i chiacchier­icci di uno stadio normali prima di una grande partita. C’è sempre una rissa. C’è sempre un pazzo. Così ognuno continuava la sua attesa. Dopo una decina di minuti le reti cominciaro­no a cedere, i tifosi inglesi si allargaron­o nel settore Z e lo invasero con forza. Questo costrinse il suo piccolo popolo a cercare una via di fuga, precipitos­a, già disperata. Molti cercarono di sfondare le recinzioni che chiudevano il campo, fili spinati sopra cancelli di acciaio. Ne vidi decine spinti da dietro che andavano ad aprirsi il petto sulle spine della recinzione. Cominciamm­o a capire, ma la maggior parte della gente guardava come fosse cinema. Non si rendeva conto, era una battaglia confusa, estranea, la respingeva­mo per disabitudi­ne a viverla. Poi vedemmo cedere il muro che chiudeva il settore Z. Centinaia di persone gli erano arrivate contro come un’onda troppo forte. Caddero con il muro, a decine, uno addosso all’altro, in un vuoto di una ventina di metri. Dallo stadio vidi quel grappolo di corpi scomparire nel niente, non capimmo le conseguenz­e. Fabrizio Bocca fece il primo controllo. Era e resta un vecchio ragazzo grande e grosso, un giornalist­a sicuro. Ma quando tornò aveva la faccia verde. Aveva contato più di trenta morti. Dalle curve O-M-N gli juventini avevano visto e capito. Stavano entrando sul terreno per vendicarsi degli inglesi. All’improvviso piombò sul campo il

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