Corriere della Sera

Cairo: «Ora con l’elmetto» Milan: «Avvio discutibil­e»

Scaroni: «Si assegna un trofeo con due partite in tre giorni»

- C. pass. Carlos Passerini

Cairo

Si riparte. Quasi cento giorni dopo, la serie A riannoderà il filo spezzatosi il 9 marzo scorso, dopo quel Sassuolobr­escia giocato in un’atmosfera surreale. Tre mesi dopo, la palla tornerà a rotolare. Lasciandos­i dietro cento giorni complicati per tutti. «Avevo dei dubbi. Dopodiché, nel momento in cui si decide di giocare sono lì pronto a mettere l’elmetto in testa e a spingere la squadra per fare il meglio» è stato il commento del presidente del Torino, Urbano Cairo. «Noi siamo in pista per giocare, oggi ho incontrato la squadra e ho dato la carica, ho detto loro di fare la vita più sana possibile perché si giocherà ogni tre giorni sotto il sole cocente — ha aggiunto —. Ho senso di responsabi­lità. Non penso soltanto a quello che è mio interesse ma a un discorso più generale e alla salute dei calciatori e delle persone. Questo il motivo per cui ero dubbioso. Convinto che si possa partire e finire? Questo non lo sa nessuno, neppure il presidente degli Stati Uniti. Nessuno sa i tempi per uscire dal problema. È giusto ripartire, sono ripartiti altrove. Ora ci siamo e siamo pronti». Su playoff e playout, Cairo però non nasconde il suo scetticism­o: «Se si interrompe il campionato è perché c’è un problema e non si può giocare. Quindi non si possono fare neppure playoff e playout».

Sorride ovviamente Claudio Lotito, presidente della Lazio, fin dall’inizio alla testa del gruppo di chi voleva giocare e basta, anche quando la situazione era oggettivam­ente diversa, con centinaia di morti al giorno. «Non è la vittoria di Lotito ma quella di tutto il calcio italiano. Sono sicuro — aggiunge — che con questa ripartenza il nostro calcio saprà mantenere quell’elevato standard di qualità che gli è riconosciu­to in tutto il mondo» ha concluso il numero uno biancocele­ste. Che su una cosa qui ha ragione: è la vittoria del calcio italiano, non di una parte, non di un individuo, né di un club o di una tifoseria. Se si torna a giocare, è perché la situazione ora lo permette. Perché ora finalmente una luce in fondo al tunnel di vede.

Riparte la vita, riparte il calcio. Con tutte le sue sfide nelle sfide: la corsa allo scudetto, la battaglion­e a cavallo della polizia belga di stanza a un chilometro dall’heysel. Cominciava il tutti contro tutto. Ci furono scontri irreali, fuori dal tempo, fra bandiere e divise, lanceri e pedoni, avversari sconosciut­i, impropri. Improvvisa­mente, come da una macchina aliena, l’altoparlan­te annunciò in tre lingue che la partita sarebbe cominciata di lì a pochi minuti e che nessuno poteva muoversi dal proprio posto nè tantomeno lasciare lo stadio. La Zdf, television­e tedesca, interruppe la trasmissio­ne. Orf, television­e austriaca, mandò la partita con sotto questa scritta: «Questa che trasmettia­mo non è una manifestaz­ione sportiva, ma una trasmissio­ne volta ad evitare massacri». C’era un odore di morte e di bugie, ma eravamo tutti convinti che la cosa migliore fosse allontanar­ci dall’heysel prima possibile e senza discutere con nessuno. Guardiamo la partita e scappiamo da qui. Non ci fu mai niente di veramente chiaro in quell’ora. Sembrava finta anche la realtà. Bruno Pizzul avvertì i telespetta­tori che avrebbe fatto una telecronac­a senza enfasi sportiva. Poi Boniek fu messo giù un metro fuori dall’area del Liverpool. Platini segnò il rigore. Ci furono

Re dei bomber Ciro Immobile, 30 anni, guida la classifica dei cannonieri della serie A con 27 reti. La Lazio prima dello stop del campionato era staccata di un solo punto dalla Juventus (Getty Images) corsa all’europa, la corsa alla salvezza. «È un segnale ulteriore che l’italia sta ripartendo, non vediamo l’ora di scendere in campo» le parole dello juventino Giorgio Chiellini.

«Finalmente torneremo a parlare di gioco e non di disgrazie», ha sorriso Marcello Nicchi, capo degli arbitri. E ci sarà anche chi, come Walter Zenga, tecnico dal Cagliari, avrà finalmente l’occasione per debuttare, dopo mesi assurdi vissuti in lockdown: «Sarà diverso, ma sarà bello lo stesso, ne sono certo. Tutte le cose sono belle quando hanno un inizio nuovo e hai lo spirito per interpreta­rle nella giusta maniera».

Avevo dei dubbi. Dopodiché, nel momento in cui si decide di giocare sono lì pronto a spingere la squadra per fare il meglio

Sotto il profilo sportivo, troviamo discutibil­e assegnare un trofeo importante come la Coppa Italia con due partite in tre giorni

Juventus

Chiellini: «È un segnale ulteriore che l’italia sta ripartendo. Non vediamo l’ora»

La palla torna a rotolare. Ma parecchie questioni sul tavolo restano. Ad esempio, la decisione del ministro Spadafora di partire con la Coppa Italia ha generato la perplessit­à e il malcontent­o di Inter, Milan e Juventus, convinte che sarebbe stato più sensato iniziare non con gare già decisive.

Una semifinale di ritorno di Coppa non è il massimo come debutto di fuoco, dopo tre mesi di isolamento. «Comprendia­mo il valore di poter offrire a tutti gli appassiona­ti partite di qualità dopo mesi di lockdown, ma sotto il profilo sportivo troviamo discutibil­e assegnare un trofeo importante come la Coppa Italia con due partite in tre giorni e con le squadre in campo dopo oltre tre mesi di fermo» ha commentato il presidente del Milan, Paolo Scaroni. segni soffocati di entusiasmo. Cominciò la lunga polemica sulla Coppa «che grondava sangue». Boniperti fu subito realista. «L’abbiamo pagata, l’abbiamo vinta. È nostra». Credo in sintesi avesse ragione. Ma la partita non ci fu. Alla fine i giocatori della Juve festeggiar­ono con il settore M, il cuore della loro curva all’heysel. Boniek disse poi che non avrebbe voluto giocare e rinunciò al premio partita. Tardelli si scusò pubblicame­nte. Diciotto giorni dopo l’uefa decise di squalifica­re a tempo indetermin­ato le squadre inglesi dalle Coppe europee. Furono riammesse nel 1990. Nel 2000, agli Europei nei Paesi Bassi, giocammo due volte all’heysel, ormai ribattezza­to Stadio Re Baldovino. Fu impedito all’italia di giocare con il lutto al braccio. Maldini come capitano e Conte come juventino, portarono una corona sotto il vecchio settore Z. Ogni azzurro scese in campo ad ascoltare l’inno con un fiore in mano. All’heysel morirono 39 persone: 32 italiani, 4 belgi, 2 francesi e un irlandese. Andrea Casula di Cagliari aveva dieci anni.

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