Nella testa di Trump
Mentre la violenza dilaga nelle città americane, la pandemia s’allarga e l’economia soffre, Trump va avanti come prima: cerca nemici.
L’America è turbata. L’america è spaccata. L’america è isolata. L’america è senza padre. Un vero dolore e una grande preoccupazione, per chi la conosce, le vuole bene e sa quanto sia importante per il mondo. Mentre le città degli Usa s’incendiano, la violenza dilaga, la pandemia s’allarga e l’economia rischia il tracollo, Donald Trump va avanti come prima: cerca nemici (la Cina, l’organizzazione Mondiale della Sanità, Twitter), attacca il predecessore (Obama), minimizza, litiga perfino sulle mascherine. Incredibilmente, non ha neppure invitato alla calma. In sostanza, ha rinunciato al comando. Qualcuno si chiede se l’abbia mai assunto, quel comando. Gli Stati Uniti hanno affrontato guerre e crisi, nella loro storia, ma avevano una guida, erano uniti e avevano amici nel mondo. Davide Gergen, che ha lavorato con quattro presidenti, ricorda che George Washington era chiamato «Father of the Country», padre della nazione. E l’appellativo è stato usato per altri due grandi presidenti americani, in secoli diversi, Abraham Lincoln e Franklin D. Roosevelt. Ma anche chi non è arrivato a quel livello — John F.kennedy e Ronald Reagan, George W.bush e Barack Obama — ha capito che il compito del presidente era unire, non dividere. Mediare, non aizzare. Consolare, non provocare. Frequento gli Stati Uniti da più di quarant’anni, Jimmy Carter era appena arrivato alla Casa Bianca. Ci ho vissuto, ci ho viaggiato, ci ho insegnato, ci ho lavorato. Negli Usa ho scritto un libro e abbiamo tirato su un bambino. Non ricordo un altro periodo così angoscioso. Non sono le notizie, per quanto gravi. Non sono i centocinque mila morti per il coronavirus, non sono le metropoli in rivolta, non è lo scontro con la Cina. Gli Stati Uniti d’america avrebbero la forza — politica, economica, scientifica, tecnologica, diplomatica — per superare tutto questo. Ma devono rispettare l’aggettivo che portano nel nome: devono restare uniti.
Donald Trump, fin dalla campagna elettorale del 2016, ha usato la divisione come strategia politica. Il fastidio verso l’europa, il disprezzo verso gli avversari democratici, il rancore verso i media hanno un comun denominatore: la ricerca di un oggetto ansioso, di un nemico da additare ai sostenitori. Trump ha incassato il dividendo elettorale, quattro anni fa. Ma ha lasciato macerie sul campo, e continua a lasciarne. Due Americhe combattono una guerra civile sotterranea: una bianca, libertaria, sospettosa, arrabbiata; l’altra multicolore, liberale, frustrata, furiosa. La volontà feroce di dividere. Ecco il motivo per cui Donald Trump verrà condannato dalla Storia, ecco cosa sfugge ai suoi ingenui sostenitori italiani, ecco cosa imbarazza gli americani nel mondo. Gli sforzi d’inclusione dei capi di governo sono spesso retorici; ma, anche quando producono pochi effetti, evitano molti guai. Quale altro leader, nel mezzo di un’insurrezione e di una pandemia, metterebbe i propri cittadini gli uni contro gli altri? Nessuno. Solo Donald Trump. Le violenze in dozzine di città americane non si possono giustificare. Ma si possono spiegare, in parte, con l’esasperazione della nazione. Non si vede una via d’uscita, e l’appuntamento elettorale in novembre è lontano: nessun Paese può reggere cinque mesi in queste condizioni. E la fragilità fisica e politica del probabile candidato democratico Joe Biden appare, in queste ore, in tutta la sua evidenza. Sarebbe necessario uno scatto, un imprevisto, un personaggio che mostri a tutti cos’è, e come si comporta, un vero leader americano. Ma questa donna o quest’uomo, per ora, non si vede. L’alba americana arriverà. Ma la notte, adesso, è scura.
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