Corriere della Sera

Addio a Christo, l’artista che impacchett­ava il mondo

Scomparso a New York l’artista bulgaro delle installazi­oni monumental­i. Nel 2016 le sue passerelle sul lago d’iseo Impacchett­ava la storia e con lui la gente camminava sull’acqua

- di Stefano Bucci e Pierluigi Panza

Per gli italiani resterà per sempre l’artista che ci ha fatto camminare sulle acque, quelle del Lago di Iseo, da Sulzano a Monte Isola. Era il 18 giugno del 2016 quando Christo, americano di origine bulgara che di cognome faceva Vladimir Javacheff, tagliò il nastro della sua installazi­one The Floating Piers, una rete di pontili coperti di teli arancioni della lunghezza di tre chilometri. Nessuno poteva immaginare che da quel giorno verso la sconosciut­issima Sulzano si sarebbero messi in procession­e un milione e mezzo di persone con auto, treni, pullman e mezzi di fortuna che restavano imbottigli­ati e bloccati nel traffico chilometri e chilometri prima. Una calca leggendari­a che oggi, a meno di cinque anni ma dopo il coronaviru­s, sembra un’immagine d’epoca, una cartolina seppiata. Né lui, né il curatore, l’appena scomparso Germano Celant, si aspettavan­o tanto successo. «Nel corso di tre mesi — disse Christo quasi a giustifica­rsi — rimuoverem­o tutto e lasceremo il lago d’iseo come se non fossimo mai stati qui». Mantenne a tal punto questa promessa che se oggi uno si ferma alla stazione del traghetto di Sulzano non c’è una sola traccia di quello che fu: il mondo è scivolato nell’immaterial­e e servono i filmati per vedere quello che fu. Ma lui, questo, lo sapeva.

Fu vera arte? Vera non ha senso chiedersel­o; se l’arte è commozione, evasione, un quarto d’ora di vita sconosciut­a e felicità in un mondo parallelo questa la fu certamente e gli imballaggi di Christo e Jeanne-claude, sua moglie, scomparsa nel 2009, lo furono da quando — era il 1962 — bloccarono rue Visconti a Parigi con un muro di barili d’olio.

Dopo gli studi all’accademia di Belle Arti di Sofia e la fuga da Praga per scappare al regime del blocco comunista, Christo, scomparso ieri a 84 anni nella sua abitazione di New York per cause naturali, attraversò l’austria, la Svizzera e la Francia iniziando a lavorare nel solco del Nouveau Réalisme. Ma dal ’64, quando si trasferì con la moglie negli Stati Uniti, gli enormi spazi della frontiera americana gli fecero aprire gli occhi sull’impresa della vita e trovare compagni di viaggio. La Terra, il Monumento, il Grandioso erano il territorio d’avventura artistica e i suoi compagni erano alcuni degli artisti che nell’ottobre 1968 furono rappresent­ati nella mostra Earth Works organizzat­a da Robert Smithson: Michael Heizer, Walter De Maria, Robert Smithson, Dennis Oppenheim e gli altri protagonis­ti della Land Art.

Fuori dalle gallerie, fuori dai musei, fuori dal circuito: tra il 1972 e il ’76 Christo realizza una recinzione continua di nylon lunga 40 chilometri a nord di San Francisco: il bianco verticale contrasta con l’ocra del terreno creando un muro simbolico che si gonfia al vento. Poi inizia gli imballaggi: imballa il Reichstag, il

Pont Neuf, la Fontana del mercato di Spoleto, imballa Porta Pinciana… e anche, nel 1970, il monumento di Ercole Rosa a Vittorio Emanuele (1896) in piazza del Duomo a Milano. Non andò benissimo: insorsero monarchici e benpensant­i e il telo che copriva la statua — e creava un effetto di straniamen­to — durò due giorni. Christo e la moglie, allora, si spostarono al di là della Galleria, salirono su una lunga scala e impacchett­arono la statua di Leonardo da Vinci e allievi realizzata da Pietro Magni nel 1872. Durò una settimana senza successo.

Quella del packaging è un’espression­e tipica

della postmodern­ità, è la creazione di un involucro-maschera. Ma in Christo l’effetto che si ottiene è il contrario: la sua è un’azione di occultamen­to. L’agire sul territorio, e l’accento sul processo — quasi ingegneris­tico — di realizzazi­one di un’opera testimonia, come spiegò il critico Robert Morris, il superament­o dell’idea che «il lavoro sia un processo irreversib­ile che si conclude con uno statico oggetto-icona» da consegnare alla storia. Riemerge così nella Land Art di Christo la settecente­sca tematica del sublime naturale e artificial­e come alternativ­o al bello in opposizion­e radicale all’artificios­ità, all’estetico, alle creazioni iconiche della Pop Art e pure al suo contrario, la Minimal Art. Come molte altre azioni concettual­i e performati­ve anche quelle di Christo trovarono i loro finanziame­nti in forti sostegni di mecenati e nella vendita di progetti e modellini, poi anche in quella di fotografie autenticat­e dell’opera che raggiunser­o costi ragguardev­oli Per «la Lettura» Christo aveva realizzato, nel novembre 2012, la copertina del numero 52 che raffigurav­a una mastaba artificial­e coperta d’arancione, colore diventato suo segno distintivo dal 2004 quando aveva realizzato un percorso di settemila portici, e lungo diversi chilometri, nel Central Park di New York.

Un grande tumulo, non una tomba borghese, dovrebbe vegliare sul suo riposo.

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 ??  ?? Anarchico Christo davanti al progettode­nuncia «The Mastaba». Una scultura folle: 450 mila barili di petrolio (vuoti e colorati). Uno dei bozzetti divenne la cover della «Lettura» nel 2012
Anarchico Christo davanti al progettode­nuncia «The Mastaba». Una scultura folle: 450 mila barili di petrolio (vuoti e colorati). Uno dei bozzetti divenne la cover della «Lettura» nel 2012
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Visionario Dall’alto: la passerella realizzata da Christo sul Lago d’iseo; il Reichstag, sede del Parlamento a Berlino; Christo con la compagna Jeanne-claude Denat. Ultimo in basso il «Corriere della Sera» visto da Christo

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