Walter Tobagi, cronista indipendente vittima del suo coraggio
S abato sera, Tg2 Dossier ha proposto Walter Tobagi, assassinio di un cronista di Miska Ruggeri. A 40 ani dal suo omicidio per mano di due sciagurati boriosamente arruolati nella fantomatica «Brigata XXVIII marzo», figli della «buona» borghesia milanese e guidati da chissà chi, si capisce sempre di più come Tobagi sia stato vittima del suo coraggio, della sua intelligenza, della sua volontà di capire.
Troppe persone, anche nel mondo dell’informazione, erano accondiscendenti e prigionieri dell’infatuazione ideologica di quegli anni. In questo clima di diffusa ostilità, la figura di Walter Tobagi dava molto fastidio: le sue analisi sul terrorismo, il suo spirito di indipendenza, la sua bravura erano mal tollerate. La sua colpa era quella di pensare con la sua testa, di essere divisivo, come si dice oggi.
Lo hanno ricordato così i colleghi e sodali che meglio lo hanno conosciuto: Massimo Fini, Antonio Ferrari, Vittorio Feltri, Marco Volpati, Claudio Martelli, Ugo Finetti. Come ha sottolineato Michele Brambilla, pochi nel mondo della stampa hanno chiesto scusa per i violenti attacchi a Tobagi e a quanti non si sottomettevano allo Spirito del Tempo della «contestazione». Ovviamente il ricordo più toccante è quello della figlia Benedetta, sempre sospeso tra la tenerezza e il rigore, tra la delicatezza dell’affetto e la lucidità dell’analisi. Ne è passato di tempo, ma resta ancora da capire come mai il terrorismo abbia puntualmente scelto i suoi obiettivi fra i migliori e gli indifesi: magistrati, giuslavoristi, giornalisti, poliziotti. Per non parlare delle stragi. Non ha scelto di scontrarsi con i «poteri forti» (qualunque cosa voglia dire questa insulsa espressione) ma di fare mattanza fra coloro che erano impegnati a migliorare la società, che credevano nelle riforme.
La lunga scia di morti del terrorismo è un triste elenco di brave persone, di gente in gamba, di professionisti coscienziosi.