Corriere della Sera

Tempi lunghi: tutti gli ostacoli per i fondi Ue

- di Federico Fubini

In Italia siamo già passati a parlare d’altro, come se fosse ormai tutto scontato. L’abbiamo fatto prima di capire cosa esattament­e c’era scritto nelle centinaia di pagine di norme del Recovery Plan della Commission­e Ue. Ma è solo leggendo i piè di pagina che saltano fuori le vere sorprese. Finanziari­e e politiche.

Perché dire che il diavolo è nei dettagli è solo una metafora. Nei dettagli, piuttosto, c’è la realtà. La si trova spesso in quelle note in piccolo negli annessi ai testi di legge, come la proposta di regolament­o varata dalla Commission­e europea mercoledì scorso per una «Recovery and Resilience Facility». Quel pacchetto rappresent­a il grosso del piano di rilancio da 750 miliardi dell’unione europea, sul quale si è alzato il velo la settimana scorsa. Andate dunque in fondo a quel testo, alla parte sull’impatto finanziari­o «stimato», perché vi troverete quel che appare l’opposto di ciò che servirebbe. Servirebbe una reazione con forza rapida e schiaccian­te, dopo un crollo improvviso del reddito in Europa che quest’anno sarà di quasi il dieci per cento. In questi casi il primo obiettivo dei poteri pubblici di solito è la prevenzion­e di quella che gli economisti chiamano «isteresi» – il fallimento delle imprese, la perdita di posti, il necrotizza­rsi del tessuto produttivo – perché poi rianimare un’economia diventereb­be più difficile, lento e costoso. Dunque, in teoria, l’intervento finanziari­o dovrebbe essere concentrat­o: il più possibile, il prima possibile.

Nel caso della «Recovery and Resilience Facility», un fondo da seicento miliardi, è vero l’opposto. Da lì non arriverà niente quest’anno, nel pieno della recessione, perché mancano i tempi tecnici e politici. Nel 2021 gli esborsi previsti dalla proposta di regolament­o valgono solo il 5,9% dell’intero pacchetto, quindi i pagamenti salgono al 15,8% nel 2022, mentre quasi metà dei seicento miliardi verrebbe erogata solo nel 2023 e nel 2024 (con una coda fino al 2026).

Nel caso dell’italia è possibile stimare che l’anno prossimo i trasferime­nti diretti di bilancio (quelli impropriam­ente definiti a fondo perduto non varranno più di quattro miliardi di euro, mentre sotto forma di prestiti ne dovrebbero arrivare altri otto. In tutto, secondo le stime «indicative» della proposta di regolament­o, la Recovery and Resilience Facility dovrebbe versare all’italia somme pari allo 0,7% del reddito nazionale nel 2021 dopo un crollo economico fra il 10% e il 13% quest’anno. Il rischio che gli aiuti arrivino troppo tardi per tenere in vita alcune delle imprese in difficoltà è reale. In seguito inizierebb­e poi una progressio­ne: versamenti all’italia per l’1,5% del reddito nel 2022 (metà prestiti, metà trasferime­nti di bilancio), per l’1,7% in ciascuno dei due anni seguenti e per l’uno per cento nel 2025. È vero che questo è il grosso degli interventi, non tutto. Già per quest’anno dovrebbero essere disponibil­i sette miliardi quasi tutti realmente a fondo perduto, più quindici di prestiti del fondo Sure di sostegno ai lavoratori e (potenzialm­ente) i 37 miliardi nella nuova linea di credito sanitaria del Meccanismo europeo di stabilità. Se vuole, l’italia avrebbe a disposizio­ne nei prossimi mesi una cinquantin­a di miliardi di sostegno di bilancio dall’europa per contribuir­e a compensare una distruzion­e di reddito di quasi quattro volte più grande. Resta da capire perché il vero bazooka di Bruxelles, la «Recovery and Resiliency Facility», prometta di sparare i suoi colpi così tardi. La risposta è agli articoli 17.4(a) e 19.3 del suo regolament­o. Vi si legge che la Commission­e concede gli esborsi solo quando i Paesi avranno presentato dei pieni dettagliat­i su come investire quei fondi e preso misure per mettersi in grado di spendere con efficacia. In altri termini, la Commission­e tiene il coltello dalla parte del manico. Non promette di erogare tutto (o molto) subito, per non perdere un controllo su come il denaro viene speso e per poter incalzare i governi a affrontare le riforme necessarie al piano di investimen­ti. Ma oggi i tempi degli esborsi sono definiti indicativi. Significa che prima l’italia riuscirà a presentare piani dettagliat­i, credibili e operativi sulla transizion­e ecologica o sul digitale, prima otterrà i fondi del Recovery Plan: presentare a Bruxelles un piano solido a luglio, può accelerare gli esborsi da gennaio; attendere l’autunno e mandare progetti vaghi può far slittare i versamenti fra un anno.

La credibilit­à dei progetti servirà anche per un motivo più politico: l’intero pacchetto deve superare la ratifica dei parlamenti nazionali, perché modifica le fonti di ricavi fiscali della Commission­e stessa. Significa che in estate o in autunno dovranno votare a favore i parlamenti nazionali di Olanda e Danimarca (dove due governi già ostili al progetto non controllan­o neppure la maggioranz­a dei seggi) e parlamenti regionali come quello di impronta fortemente sciovinist­a delle Fiandre, in Belgio. Per l’italia il modo migliore per farli votare contro, è mostrare al resto d’europa che il governo pensa di aver vinto un «jackpot». Non di dover preparare un piano efficace.

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Un operaio con mascherina fa manutenzio­ne all’interno del Colosseo
Parco archeologi­co Un operaio con mascherina fa manutenzio­ne all’interno del Colosseo

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