Non possiamo farne scienza
Non me ne vogliano gli esimi virologi ed epidemiologi per il paragone, ma anche Einstein, intervistato tutti i giorni, avrebbe fatto la figura del cretino. Lo diceva Michel Platini, che detestava le interviste. Persino un convento di monaci cistercensi, illuminato dai fari della tv, si trasformerebbe in un pollaio. Figuriamoci un consesso di scienziati dall’ego non esattamente rattrappito. Il sistema mediatico si alimenta di esperti e famosi, e funziona se le loro dichiarazioni riescono a suscitare la replica di qualche altro esperto o famoso. Si tratta di un lavoro usurante che reclama un ricambio continuo di facce: politici, sportivi, giornalisti, soubrette di ambo i sessi si avvicendano a ritmo frenetico. Servivano rinforzi. Così prima sono arrivati gli chef. E ora i medici che da tre mesi vengono intervistati a ogni ora di ogni giorno (anche da me, sciagurato) per sapere come se la passa il virus. E il dottor X afferma che non esiste più, e la professoressa Y che è un po’ stanco ma sempre sulla breccia, e il luminare Z che i sintomi sono più lievi, come accade all’inizio e alla fine di ogni pandemia, ma poi non sa dirci se siamo alla fine o all’inizio (della seconda ondata).
Agli scienziati si chiedono certezze e loro rispondono: non ne abbiamo. Allora perché continuano a rispondere? La verità è che il meccanismo li ha inghiottiti. Altrimenti se la caverebbero con un «no comment» come faceva il vecchio Cuccia. Ma lui evidentemente aveva scoperto il vaccino.