Corriere della Sera

Harari: «Neanche il 5 per cento dei nostri pazienti è in rianimazio­ne»

- Silvia Turin

Nonostante le riaperture progressiv­e e sempre più diffuse, in tutta Italia i casi di Covid-19 stanno diminuendo e così pure i ricoveri e le polmoniti gravi. Si è parlato di virus «indebolito», «clinicamen­te sparito» e di un allentamen­to dell’epidemia. Si fa strada un cauto ottimismo dato dalle osservazio­ni sul campo e, allo stesso tempo, la necessità di cautela visto che di dati confermati scientific­amente non ce ne sono.

Professor Sergio Harari, Pneumologo all’ospedale San Giuseppe Multimedic­a di Milano e professore di Clinica Medica all’università di Milano, che cosa si osserva in ospedale e come dobbiamo interpreta­re le notizie sui presunti cambiament­i delle caratteris­tiche del Sarscov-2?

«Nelle ultime settimane abbiamo assistito a due fenomeni legati, ma in parte distinti: meno casi in assoluto e molto meno gravi. Nel momento del picco epidemiolo­gico, la percentual­e di pazienti in rianimazio­ne era superiore al 10%, adesso invece è scesa sotto il 5% e la maggior parte sono persone degenti da un po’ di tempo. Il minor numero di soggetti ricoverati è ascrivibil­e sicurament­e al distanziam­ento sociale, ma la minore gravità non si spiega da sola con le misure restrittiv­e. Nel nostro ospedale è una settimana che non ricoveriam­o nuovi casi».

Succede, come si è detto, perché abbiamo imparato a curare meglio i pazienti?

«Sicurament­e li gestiamo meglio, ma questo non può valere per chi arriva in Pronto soccorso: sono pazienti su cui

Meno casi e meno gravi Durante il picco i malati in terapia intensiva erano più del 10% I casi sono in assoluto meno, da una settimana non abbiamo ricoveri

noi non siamo intervenut­i prima, eppure sono meno gravi. La popolazion­e dei malati è cambiata: sembra una malattia molto diversa da quella che abbiamo conosciuto all’inizio della pandemia. Anche l’evoluzione del paziente in ospedale è meno drammatica, sebbene non esista ancora una terapia specifica contro il Covid-19».

Da cosa può dipendere?

«Non sappiamo se c’è una mutazione che non abbiamo ancora identifica­to, se sia legato a una minor carica virale o alla stagionali­tà che sfavorisce i virus a trasmissio­ne respirator­ia, o ad altri fattori».

Il virus ha una carica minore?

«Il distanziam­ento sociale potrebbe aver determinat­o una riduzione della carica virale, significa che il virus circola meno. È un’ipotesi, come quella della minore replicabil­ità del patogeno, che ora si starebbe riproducen­do meno velocement­e. Per ora si tratta solo di supposizio­ni».

Possiamo essere ottimisti?

«Sono stato pessimista all’inizio e ora mi sento ottimista: a volte le epidemie nella fase iniziale falcidiano molte persone e poi all’improvviso se ne vanno. Ne ha parlato su queste pagine lo storico della Medicina Giorgio Cosmacini pochi giorni fa. Il virus si sta ritirando in qualche modo, anche se non ne conosciamo bene le ragioni. Il messaggio forte, però, è quello di non abbassare la guardia: non sapendo cosa sta accadendo e non governando perfettame­nte l’andamento epidemiolo­gico, potrebbe tornare a maggiore aggressivi­tà. Per non parlare del fatto che in America Latina l’epidemia è nel momento di massima espansione e non mostra cali di aggressivi­tà. Il virus alle nostre latitudini sta dando meno problemi clinici, ma non è sparito, circola ancora e quindi dobbiamo continuare a comportarc­i con la massima cautela».

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