UN POPULISMO LOGORATO DALLA PANDEMIA E DALL’EUROPA
Acento giorni dall’inizio ufficiale dell’epidemia, le vecchie bandiere del populismo appaiono più logore che mai. La polemica antieuropea della destra leghista e di Fratelli d’italia, ma non di Silvio Berlusconi, deve fare i conti con i passi avanti oggettivi che l’unione ha fatto: anche nei confronti dell’italia. È difficile dar torto al capo dello Stato, Sergio Mattarella, quando sottolinea che l’italia non è sola e ha ritrovato un raccordo con l’europa: nonostante spinte nazionalistiche e pregiudizi.
Il fatto che proprio le forze favorevoli alla chiusura dei confini ora protestino contro le limitazioni del governo, e vadano in piazza soffiando sulla rabbia sociale, conferma quanto la pandemia costringa tutti a riscrivere la propria agenda politica: non sempre in meglio. Il richiamo dei temi del passato rimane potente per tutti, di fronte a una situazione nuova e incerta. Anche il M5S è tentato di sventolare i suoi vessilli populisti: come se il passato fosse una nicchia di sicurezze. In realtà, li issa con meno convinzione di prima, preparandosi ad ammainarli. Il no al Mes, espresso a intermittenza e ribadito anche ieri dai vertici grillini, significherebbe escludere circa 37 miliardi di euro dagli aiuti europei per sostenere la sanità.
Ma è un rifiuto ideologico. Risponde a logiche interne ad un Movimento che non riesce a diventare compiutamente forza di governo. E spera che prendendo tempo fino al Consiglio europeo di metà giugno possa arginare i contrasti e le spinte centrifughe. Il Mes è un tabù usato per evitare scissioni, oltre che per il timore di offrire un’arma polemica alla destra. Eppure, sostenere che si userà se lo utilizzeranno anche altri, sa di alibi. Come è singolare rinviare la decisione dicendo che bisognerà studiare le condizioni del prestito, già cambiate a nostro favore.
Sono contorsioni magari gradite a una parte dell’elettorato del M5S. Ma in Europa danno l’impressione che l’italia voglia gli aiuti senza rispettare gli impegni: anche se alla fine il premier Giuseppe Conte dovrà chiedere il via libera del Parlamento. I «no» d’ufficio al Mes sono il miglior viatico per moltiplicare le resistenze di quei Paesi nordeuropei che seguono una strategia della diffidenza verso il nostro governo.
L’atteggiamento del M5S si rivela ancora più contraddittorio nel momento in cui si prepara a rinunciare al vincolo del doppio mandato: altra bandiera storica e logora. La ricandidatura della sindaca Virginia Raggi a Roma è il grimaldello per permettere a gran parte della nomenklatura di correre per un seggio in Parlamento: altrimenti non potrebbe. Non sarebbe una novità di cui vergognarsi. Ma sembra esserlo per un M5S che, una volta al potere, non vuole lasciarlo. E ora dovrà spiegare che il dilettantismo, anche in politica, non può essere una virtù.