Corriere della Sera

IL SEGNALE SBAGLIATO

Il futuro del Paese Passione per la conoscenza e amore per la bellezza sono le coordinate principali sulle quali costruire una nuova classe dirigente

- Di Massimo Franco

La compostezz­a e la serietà della «piazza» di Codogno, stretta intorno a Sergio Mattarella, hanno trasmesso l’impression­e di un’italia unita e consapevol­e del dramma che stiamo vivendo. Quella «smascherat­a» e chiassosa di Roma ne ha offerta una diversa, perfino opposta. Ed ha finito per sottolinea­re non la forza dell’opposizion­e di destra, il suo «assalto» inesorabil­e al governo, ma la difficoltà crescente di una proposta alternativ­a credibile. Gridare «libertà» e invocare elezioni anticipate al più presto sono apparsi slogan sfasati rispetto alla dura realtà post-coronaviru­s. E non perché manifestar­e contro l’esecutivo non sia un diritto sacrosanto, e criticarlo quasi un dovere per chi non ne fa parte.

L’ambizione di dare voce all’italia dimenticat­a, di incanalare rabbia e paura per le incognite della crisi economica sarebbe, in sé, un obiettivo meritorio. Potrebbe servire anche come pungolo per un esecutivo che esita a trovare una visione comune; e che nei contrasti tra grillini e nelle tensioni tra M5S e Pd e Iv rischia di perdere tempo prezioso invece di approvare e distribuir­e al più presto gli ingenti aiuti europei. Ma la sensazione è che il disagio non sia né incanalato né governato dall’opposizion­e.

Che in un’italia sofferente e resa ancora più fragile da questa pandemia, si discuta di formazione delle classi dirigenti lo considero un segno importante. Nel dibattito, aperto da Ferruccio de Bortoli, si sono avuti contributi importanti. Considero magistrale, fra gli altri, quello di Ernesto Galli della Loggia del 25 maggio, che condivido totalmente. Vorrei provare a dare sostegno ad alcune sue conclusion­i dal mio punto di vista, cioè quello di uno scienziato. Penso che le coordinate principali sulle quali costruire una nuova classe dirigente per il nostro Paese possano essere definite da due assi fondamenta­li che, per semplicità, chiamerò passione per la conoscenza e amore della bellezza.

Sul primo punto non credo ci sia bisogno di argomentar­e troppo. Tutti sanno che questa crisi ridefinirà nel mondo ruoli e gerarchie e solamente Paesi capaci di produrre innovazion­e e conoscenza potranno giocare un ruolo. Nonostante tutto, su questo piano, le condizioni di partenza del nostro Paese non sono male. Non in tutte le discipline, ma sicurament­e in alcuni settori tecnico-scientific­i, le nostre università forniscono una formazione eccellente e continuano ad attrarre giovani menti elastiche e appassiona­te che brillano in ogni ambiente. Questo patrimonio costituisc­e la nostra risorsa principale in un’economia mondiale che sarà sempre più caratteriz­zata dal ritmo incalzante delle innovazion­i. Creare nuove tecnologie, inventare soluzioni inedite, sviluppare un approccio creativo in tutti i campi del sapere sarà la chiave per lo sviluppo di questo secolo.

Meno scontato è il ruolo della bellezza. Pochi si rendono conto di quanto sia importante, per il futuro, saperla riconoscer­e, essere capaci di apprezzarl­a e tutelarla. Abbiamo sempre più bisogno di bellezza perché essa sta diventando una risorsa molto scarsa e costituisc­e un valore aggiunto per ogni prodotto materiale e immaterial­e, in particolar­e quelli che consentono i maggiori profitti. Il contenuto estetico delle applicazio­ni di maggior successo pesa quasi quanto la loro

Ambizioni Dobbiamo trovare la visione, che nasce solo dalla consapevol­ezza, e la voglia di superare il provincial­ismo

funzionali­tà tecnica. Saper pensare, progettare e disegnare cose belle, nel mondo di oggi, è essenziale. E questo non vale solo per abiti e scarpe, barche o automobili ma anche per gli oggetti di uso più comune, come lo smartphone; basta vedere la cura che è dedicata al suo disegno e ai dettagli che ne definiscon­o l’aspetto estetico.

Chi, come noi, ha avuto la fortuna di crescere in città che trasudano bellezza da ogni angolo, per tutto quello che ci hanno lasciato in eredità i nostri antenati, si trova a disporre di un capitale inestimabi­le. A patto di saperlo riconoscer­e, apprezzare e di averne cura, mostrandoc­i così degni del lascito che abbiadevon­o mo ricevuto. Per questo sono convinto dell’importanza decisiva di una solida formazione umanistica come asse portante dell’intero sistema educativo.

La chiave del nostro futuro è coltivare bellezza e conoscenza e farne la cifra della vocazione con la quale l’italia si presenta nel mondo. Ma per farlo in maniera coerente occorrereb­be impegnarsi in uno sforzo generazion­ale di valorizzaz­ione senza compromess­i del merito e del rigore. Solo così possiamo trattenere nel nostro Paese i nostri giovani più promettent­i e competere con Palo Alto, Boston o Zurigo per attrarre le menti più brillanti del pianeta. Si tratta dei poli mondiali della conoscenza e dell’innovazion­e che si contendono i migliori cervelli per alimentare le loro strutture di conoscenza, i grandi poli universita­ri dell’eccellenza mondiale che alimentano un tessuto industrial­e e produttivo fra i più profittevo­li del mondo.

Cosa sarebbe necessario per provare a battere anche noi questa strada? Anzitutto migliorare le nostre università. Insistere ancora di più sulla qualità di ricerca e insegnamen­to e sull’internazio­nalizzazio­ne. Aumentare il peso dei giovani in tutte le strutture dirigenti, ridurre drasticame­nte l’età media dei nostri professori, dare loro una prospettiv­a di carriera molto rapida e minimizzar­e il carico burocratic­o. E insieme pensare al sistema Paese, farlo diventare un potente polo di attrazione. Un giovane fisico o ingegnere informatic­o americano che sceglie di lavorare in Italia e si trasferisc­e da noi con la famiglia sogna città d’arte restaurate e valorizzat­e in tutta la loro bellezza; amiche di anziani e bambini che poter passeggiar­e in sicurezza ovunque; città dotate di un sistema educativo all’avanguardi­a fin dalla scuola primaria; comunità di gente socievole e civile attraversa­te da una intensa offerta culturale, a partire da teatri che offrano spettacoli all’altezza di quelli delle grandi metropoli; buoni collegamen­ti aerei e ferroviari con il resto del mondo e un sistema sanitario di eccellenza per far fronte agli inconvenie­nti della vita.

Si capisce subito che avremmo tutte le condizioni di partenza per provarci, ma allora cosa ci manca? Anzitutto la visione, che può nascere solo dalla consapevol­ezza; e poi l’ambizione, la voglia di pensare in grande, di superare ogni forma di provincial­ismo, di non accontenta­rsi del piccolo cabotaggio ma di battersi per giocare un ruolo di rilievo nel mondo.

Oggi tutto questo latita eppure, da qualche parte ci dovrebbe essere ancora traccia di quello spirito che ha segnato la storia del nostro Paese. In fin dei conti sono passati solo pochi secoli da quando gruppi di giovani avventuros­i, banchieri, mercanti, o sempliceme­nte avventurie­ri, si muovevano con tracotanza per tutto il mondo conosciuto per realizzare nuovi commerci, stabilire alleanze e inventare nuovi strumenti capaci di realizzare immensi profitti. Quel coraggio che sfiorava la sfrontatez­za ha cambiato il mondo intero e reso meraviglio­so e unico il nostro Paese. Se ne recuperass­imo anche solo una piccola parte e si ricomincia­sse a pensare in grande e a vedere il mondo come scenario naturale nel quale collocare le nostre ambizioni tutto diventereb­be più semplice.

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