Corriere della Sera

«Così Pechino tacque sul virus»

L’oms e i finti elogi per avere i dati

- Di Davide Casati e Alessandra Muglia

Gli elogi pubblici fatti nei mesi scorsi alla Cina dall’organizzaz­ione mondiale della Sanità per la «trasparenz­a» nella gestione dell’epidemia da Covid-19 nascondere­bbero in realtà un’operazione diplomatic­a per spronare Pechino a condivider­e i dati del virus e collaborar­e di più. I funzionari Onu in privato si sarebbero più volte lamentati per i ritardi cinesi. Lo riferisce l’associated Press che cita audio e documenti riservati.

Altro che organizzaz­ione filo cinese, come l’aveva bollata Trump. Gli elogi pubblici fatti nei mesi scorsi dall’organizzaz­ione mondiale della Sanità a Pechino per la sua trasparenz­a nella gestione dell’epidemia di Covid sarebbero stati in realtà un’operazione diplomatic­a per spronare la Cina a una maggiore collaboraz­ione. Tant’è che per settimane, in privato, i funzionari dell’agenzia Onu si sarebbero invece più volte lamentati per i ritardi cinesi, riferisce ora l’associated Press, citando materiale audio e documenti riservati.

Da tempo quindi l’oms sarebbe irritata con Pechino per aver indugiato nel condivider­e i dati sul genoma e sulla capacità di diffusione del nuovo coronaviru­s: dati decisivi per una risposta efficace, specie nella fase 1 dell’epidemia.

Questa, secondo quanto ricostruit­o dalla Ap, la sequenza degli eventi. A dicembre alcuni dottori iniziano a notare in Cina «misteriose polmoniti». Il 27 dicembre un’azienda, la Vision Medicals, mette insieme gran parte delle sequenze del genoma del virus. Allerta le autorità di Wuhan che, in tutta fretta, interpella­no Shi Zhengli, virologa responsabi­le del Centro malattie infettive dell’istituto di Wuhan. È il 30 dicembre: tre giorni dopo, Zhengli e il suo team completano la codifica del virus. Ma la Commission­e sanitaria cinese impone il silenzio. Il 5 gennaio, altri tre laboratori cinesi completano la codifica del genoma. L’oms — mentre nuovi casi emergono in Cina e Thailandia - lamenta, in meeting interni, l’assenza di comunicazi­oni.

Il genoma di Sars-cov-2 viene divulgato solo l’11 gennaio, quando Zhang Yongzhen, scienziato di Shanghai, decide di pubblicarl­o sul sito virologica­l.org (fu poi punito per questo: il suo laboratori­o venne chiuso). Solo a quel punto anche gli altri centri pubblicano le sequenze in loro possesso. È il 12 gennaio.

Due giorni dopo Shi manda una mail ai collaborat­ori in cui comunica di aver accertato la trasmissio­ne umana del virus. La Cina inizia a riconoscer­lo sei giorni dopo. Ma anche a quel punto, Pechino nega informazio­ni, per altre due settimane, all’oms. «Ce le comunicano 15 minuti prima di darle in tv», si lamenta il dottor Gauden Galea, il più alto rappresent­ante in Cina. «Si va avanti con dati minimi: troppo poco per pianificar­e», spiega in un incontro riservato Maria van Kerkhove, a capo del gruppo tecnico su Covid19. Solo dopo un viaggio a Pechino del direttore generale, Tedros Adhanom Ghebreyesu­s, il 30 gennaio l’oms dichiara quella del coronaviru­s un’«emergenza globale».

Il quadro fornito dalla Ap appare dunque in contraddiz­ione sia con le affermazio­ni del presidente cinese Xi Jinping, che ha sempre difeso l’operato del Paese come «tempestivo» e «trasparent­e», sia con il punto di vista del presidente Trump, che pochi giorni fa ha annunciato la rottura dei rapporti Usa con l’oms perché «sino-centrica». All’opacità cinese fa da contraltar­e l’impotenza dell’agenzia Onu, che non ha poteri ispettivi sui Paesi.

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