Il Museo vive online
Quello della Scienza e Tecnologia di Milano si riscopre digitale: nel ‘97 fu il primo polo ad aprire un sito in Italia
Le istituzioni culturali in questi anni hanno fatto un grande sforzo nel trovare il modo di comunicare il proprio patrimonio in un modo nuovo, che fosse più vicino alle esigenze di conoscenza ed esperienza dei visitatori.
Molte istituzioni si sono trasformate per diventare più efficienti e parlare — a nuovi e vecchi pubblici — attraverso l’innovazione digitale che ha determinato un radicale cambiamento dei paradigmi di mercato, lasciandosi alle spalle l’era del museo enciclopedico. A fare da apripista è stato il Museo Nazionale della Scienza e della tecnologia Leonardo da Vinci di Milano che, primo in Italia, nel 1997 apriva un proprio sito web. «Parallelamente il Museo aveva pensato di istituire un laboratorio per attività didattiche sui temi di internet e della rete — racconta Paolo Cavallotti, responsabile digital dell’istituzione che da vent’anni gestisce progetti e azioni sul digitale in ambito culturale —. Successivamente, con la trasformazione del Museo in Fondazione di diritto privato e il cambio di gestione, il nuovo direttore generale Fiorenzo Galli ha colto l’importanza delle opportunità offerte dal digitale e ha investito su questo fronte istituendo un apposito ufficio».
L’arma vincente del museo Leonardo da Vinci è stata proprio quella di essere partito con molto anticipo sul digitale e di essersi dotato di persone che conoscono il valore del patrimonio e in grado di trarre risorse finanziarie proprio dai servizi abilitati dalla tecnologia. Quindi in questi mesi di lockdown essere già digitalizzati è stato fondamentale per continuare ad avere un rapporto con il pubblico.
«Nel momento in cui tutte le persone sono rimaste chiuse in casa e l’unico modo per poter raggiungere i visitatori era attraverso i canali digitali, di colpo le istituzioni si sono svegliate. C’è stata la differenza tra chi si è un po’ arrabattato cercando di mettere in piedi quello che riusciva e chi era già pronto — come noi — e quindi ha declinato con forza gli strumenti che già possedeva», spiega Cavallotti.
Eppure, i siti web dei musei hanno faticato a partire in Italia, mentre il mondo anglosassone si era già mosso. L’avevano fatto l’exploratorium di San Francisco e il Science Museum di Londra. «È un retaggio italiano che ancora considera il digitale e la rete un valore aggiunto (un po’ superfluo), per questo i musei non hanno investito abbastanza —, spiega risentito Cavallotti —. Fa un po’ indignare pensare che il panorama culturale italiano non abbia ancora assimilato che il digitale è parte del tessuto connettivo della nostra società, delle nostre vite e deve essere parte delle istituzioni».
La cosa più sbagliata che potrebbero fare i musei è tornare indietro e sciupare il grande insegnamento di questo periodo. Cavallotti non nasconde qualche preoccupazione per il futuro: «Nell’ultimo decennio i musei hanno compiuto un percorso importante di trasformazione intensificando l’interazione con il pubblico. Quindi adesso dovremo trovare un compromesso per riuscire a essere rispettosi della sicurezza e della sanità di tutti senza contraddire lo sforzo verso l’esperienza interattiva che abbiamo fatto». Un tema importante che sarà ripreso dal direttore generale del museo, Fiorenzo Galli, ospite dei digital lunch di Massimo Sideri venerdì alle 12, su corriere.it e sulla pagina Facebook del «Corriere».
Digital lunch Venerdì alle 12 il direttore del Must, Fiorenzo Galli, sarà ospite del digital lunch