Corriere della Sera

Il mito di Marte e il debito di Musk verso Schiaparel­li

- Di Massimo Sideri

C’è un grosso debito che ha nei confronti dell’italia Elon Musk, il patron della navicella Crew Dragon di Space X che, con l’attracco di domenica, ha completato il primo viaggio spaziale di astronauti gestito da un privato. Giustament­e è stato detto e scritto che inizia una nuova epoca, la Spazio Spa,o meglio sarebbe dire la civilizzaz­ione pubblico-privata dello spazio. L’obiettivo dichiarato è costruire delle «case» sulla Luna e, appena la tecnologia lo renderà possibile, anche su Marte. Un sogno che per adesso richiede tre anni (6 mesi per completare il viaggio da 40 milioni di chilometri, due anni per attendere che il Pianeta Rosso si riallinei con la Terra dopo essersi allontanat­o di altri 20 milioni di chilometri, e 6 mesi per tornare). Un altro dilemma tecnico sarà come far ripartire la navicella da Marte visto che non si potrà restare in orbita due anni e i tentativi di Musk di far atterrare i razzi verticalme­nte, come alla partenza, per ora si sono rivelati in disastro. Ma a parte la sfida tecnologic­a il debito verso l’italia parte da lontano, dall’ottocento, e non è finanziari­o. Bensì culturale. Il mito di Marte, di cui c’è una traccia lessicale anche nella stessa scelta dei «marziani» come rappresent­anti della vita aliena, nasce nell’osservator­io di Brera, a Milano. Qui nella seconda metà dell’ottocento Giovanni Schiaparel­li, parente dell’egittologo omonimo a cui si deve la ricchezza del Museo Egizio di Torino, fece le prime approfondi­te osservazio­ni del Pianeta Rosso segnalando la presenza dei «canali di Marte», linee dritte verticali che sembravano essere un indizio potente della presenza di una qualche civiltà alinea. I suoi studi rimbalzaro­no fin negli Stati Uniti e vennero citati anche da Percival Lowell dando vita al mito dei marziani. In realtà lo stesso Schiaparel­li rimase sempre molto prudente sulla validità dei canali come prove inconfutab­ili, anche se si spinse a scrivere di questa possibilit­à in tono provocator­io. Resta in ogni caso quel debito culturale di cui ancora c’è traccia nei libri, nella cinematogr­afia e anche nell’immaginazi­one di chi pianifica che il Pianeta Rosso possa essere in qualche maniera civilizzat­o dall’essere umano. Chissà se Elon Musk sa quanto deve a Milano e all’italiano: il termine inglese rocket, razzo, viene dalla rocchetta usata nell’arcolaio, e risale al Seicento.

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