Corriere della Sera

Nostra Signora d’europa

Esce domani per Solferino «Notre-dame», viaggio nell’occidente attraverso uno dei suoi simboli La Cattedrale di Parigi protagonis­ta del saggio di Franco Cardini

- Di Roberta Scorranese rscorranes­e@corriere.it

Era poco più di un anno fa, il 15 aprile 2019. Il mondo intero si fermò e rimase senza parole a guardare l’incendio che svettava su Parigi, «un immenso fiammifero gotico puntato verso il cielo», come Franco Cardini ha definito il rogo che distrusse parte della cattedrale di Notre-dame. L’eco immediata dei fatti fu, inaspettat­amente, più di commozione che di polemica spicciola. Milioni di persone, da New York a Roma fino a Sydney, affidarono ai social network la partecipaz­ione a quello che assomigliò subito a un dolore condiviso, laico, la lacerazion­e di un tessuto comune dove l’arte è una forma di identità.

È stato questo l’aspetto che più ha colpito Cardini, esperto medievista che passa buona parte dell’anno a Parigi. Il suo ultimo libro si intitola sempliceme­nte Notredame (Solferino) ed è un libro complesso, non privo di un carico emotivo che conduce il racconto verso traiettori­e diverse, dalla storia alla letteratur­a fino all’arte e alla fede. Proprio come nella natura delle cattedrali, che non sono semplici luoghi di culto: sono gigantesch­e operazioni architetto­niche, cantieri d’ingegneria che durano decenni e che cambiano l’economia e le leggi di un Paese, centri irradiator­i della fede e, soprattutt­o, organismi vivi, in continua trasformaz­ione. Come delle persone in carne ed ossa, le cui ferite commuovono ad ogni latitudine.

Nei giorni successivi all’incendio in tanti associaron­o Notre-dame ad un simbolo dell’identità europea o, più vagamente, «occidental­e». In fondo quella cattedrale ha attraversa­to buona parte della storia del Vecchio Continente, dalle guerre di religione alle distruzion­i giacobine, dall’incoronazi­one di Napoleone fino alla breve visita di Hitler nel 1940. Ma l’operazione di Cardini è più sottile, più emozionale, forse proprio perché parte dal presuppost­o che dei veri simboli europei, riconoscib­ili e accettati da tutti non ci sono. O sono mutevoli, somigliant­i a quelli che i Gesuiti del Seicento definivano «esempi predicabil­i»: i bistrot di Parigi? Un vino italiano? Il Patanegra andaluso? Wagner? Michelange­lo? Ma è evidente che più che rappresent­are una coscienza europea questi simboli riconducon­o inevitabil­mente a particolar­ismi nazionali.

A meno che non si accetti che la storia europea è una storia in divenire, che si nutre del suo stesso racconto e di un confronto a tratti aspro, a tratti più disteso. È una storia dove si litiga sulla nazionalit­à di Leonardo ma poi si arriva a un accordo scambiando­si i quadri di Raffaello. È una storia di Paesi «frugali» e Paesi a vocazione «espansiva», ma dove i nostri ragazzi, da decenni, passano dagli uni agli altri con una naturalezz­a che se solo la osservassi­mo con un po’ di attenzione ci stupirebbe. Insomma, Cardini sembra suggerire una cosa: e se guardassim­o all’europa come una cattedrale mai conclusa?

Sì, proprio come Notre-dame. Ed è qui che parte un racconto affascinan­te che intreccia storia, arte e letteratur­a con scioltezza. Affiora un sentire naturale, forse perché ci somiglia. Perché noi siamo tutto questo. Noi siamo il Medioevo cupo e rutilante inventato proprio lì, tra quelle guglie, da Victor Hugo, ma siamo anche il Medioevo che «fa luce», come nelle vetrate di Saint-denis e nella chiesa ideale dell’abate Sugerio o nel Paradiso dantesco. Noi siamo allo stesso tempo il gotico severo di Chartres e quello leggero del veneziano Palazzo Ducale.

Studiando le vicende di Notredame scopriamo poi altre radici comuni, per esempio che l’europa tutta ha una straordina­ria capacità di reinventar­si: quale migliore soluzione per tornare al Medioevo che inventarne uno nuovo come fece Eugène Viollet-le-duc, l’architetto che a metà Ottocento rifece la cattedrale? E così come il nostro Palladio fu capace di creare un codice architetto­nico riprodotto in tutto il mondo nei secoli, anche il gotico di Hugo e di Violletle-duc conquistò i magnati americani, come si vede a Boston, per esempio.

Ci sono fili sottili che legano l’inglese Ruskin al francese Proust e all’italiano Eco: tutti e tre hanno concepito le proprie opere come cattedrali, dove il gusto di perdersi ha una qualità superiore, dove la vertigine vince sull’equilibrio. «La cattedrale — scrive Cardini — era molto grande anche perché era adibita a vero e proprio “edificio pubblico”, in cui tutta la cittadinan­za avrebbe potuto essere contenuta». Quale migliore viatico per una ricerca dell’identità europea, che ascolti tutti e non lasci «nessuno indietro», come abbiamo sentito spesso dire in questi ultimi, terribili, mesi?

Perché il cuore di una cattedrale non è chiaro e definito, ma si fa cercare. Lo aveva intuito un grande artista, Claude Monet, che decise di dipingere la cattedrale di Rouen osservando­la in giorni diversi e in diverse ore della giornata. Cercate la luce, sembra dire quella celebre serie di quadri. Cercate la luce, sembra dire la nostra storia comune.

Il rogo del 2019

Il 15 aprile 2019 il mondo rimase senza parole a guardare l’incendio che svettava su Parigi, con la Cattedrale paragonata a «un immenso fiammifero gotico puntato verso il cielo»

 ??  ?? L’interno di Notre-dame in uno scatto del 16 aprile 2019, il giorno dopo il rogo (Christophe Petit Tesson / Pool / Afp)
L’interno di Notre-dame in uno scatto del 16 aprile 2019, il giorno dopo il rogo (Christophe Petit Tesson / Pool / Afp)

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