«Così resto dentro di me l’allievo devoto di un Maestro»
«Resto dentro di me l’allievo devoto di un Maestro. Ancora oggi scrivo con la Lettera 22 che mi ha lasciato». Maggio 2018, Roberto Gervaso ci racconta il suo profondo legame con Indro Montanelli per l’uscita dei volumi che scrissero insieme per la Storia d’italia, riproposta in quei giorni dal «Corriere». Abita ancora nella sua casa romana affacciata sul Colle Oppio e il Colosseo. Intorno la discreta presenza della moglie Vittoria. È il bilancio di una esperienza irripetibile: «Gli devo moltissimo, direi quasi tutto. Fu lui ad accendere la mia passione. Lo scoprii quando avevo 16 anni. Non ebbi pace finché non riuscii a incontrarlo dopo la maturità a Roma». Poi affronta anche i tanti pettegolezzi: «Ne dissero di tutti i colori, che io ero suo figlio… Fesserie. Semplicemente credette in me, mi fece assumere al “Corriere della Sera”». È una giornata di sole romano, Gervaso ricorda bene: «Mi chiamava Robertino… e mi spiegò il metodo di lavoro nel 1964 per la Storia d’italia: “Hai presente il monumento a Garibaldi? Dovrai disarcionarlo, metterlo in mutande e raccontarlo”». Ci furono dolori, oltre le gioie: «Dovetti riscrivere 13 volte il capitolo su Alboino, alla fine disse che era perfetto». La frattura arrivò con la P2, col duro giudizio di Montanelli. E anche raccontando quella, Gervaso torna l’allievo del Maestro.
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