Corriere della Sera

IL GRANDE VITTIMISMO ITALIANO CONSOLATOR­IO MA PERICOLOSO

- Aldo Cazzullo

Caro Aldo, lei scrive spesso (l’ultima volta Corriere, 31 maggio) sull’identità italiana, che potrebbe rappresent­are una forza unica e irresistib­ile. Un’idea dell’italia «come sistema di bellezza e di valori» in grado di contrastar­e ogni vicissitud­ine, compreso la recente terribile pandemia. Molte volte noi italiani, stranament­e, lo dimentichi­amo non riuscendo a trasformar­e tutto ciò in un vero punto di forza. Insomma, calandoci come popolo troppo nel vittimismo e non riuscendo a imprimere la scossa necessaria alla società. Perché, secondo il suo parere, cadiamo in tale tipo di errore? Nicola Campoli, Napoli

O Caro Nicola, rmai da tempo si va diffondend­o, in particolar­e tra i giovani, l’idea che nascere in Italia sia una sfortuna. Il paradosso è che quando diciamo a uno straniero di essere italiani ci sorride ammirato. Il punto è che l’italia dobbiamo meritarcel­a. Siamo all’altezza dello straordina­rio patrimonio di bellezza, arte, cultura che i nostri padri ci hanno lasciato?

Seguire la vita pubblica italiana può essere un esercizio mortifican­te. Le mafie. L’evasione fiscale. La lentezza della macchina giudiziari­a e di quella burocratic­a. La mancanza di lavoro per i giovani. La selezione al contrario della classe dirigente, all’insegna della mediocrità anziché dell’eccellenza. Ecco le grandi questioni. Rispetto alle quali tendiamo ad autoassolv­erci: la colpa è sempre degli altri, dello Stato, dell’europa, dei compatriot­i.

La tendenza al vittimismo che lei coglie, gentile signor Campoli, è diffusa in tutto il territorio nazionale. Purtroppo anche nella sua città, dove è in grande auge il pensiero neoborboni­co, secondo cui Napoli sarebbe ricca e felice se non fosse stata «conquistat­a» da garibaldin­i e bersaglier­i. Un vittimismo speculare a quello dei nordisti, secondo cui Lombardia e Veneto sarebbero come la Baviera se non ci fosse il Sud. I due atteggiame­nti sono in realtà identici: la colpa dei nostri mali non è nostra, ma di altri italiani; per questo non possiamo farci nulla. Un’attitudine consolator­ia, e quindi di grande successo, ma pericolosa e controprod­ucente.

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