«Rinnovabili e reti digitali per rilanciare il Paese I fondi da investire ci sono ma serve meno burocrazia»
«C’è una visione ampiamente condivisa sull’energia. Abbiamo la tecnologia che serve per le rinnovabili e le reti digitali, abbiamo la capacità finanziaria ma non quella di rimuovere le barriere per mettere a terra i progetti». Ora che si parla di ripartenza e che l’ue sta mettendo a disposizione fondi per la transizione verde, la burocrazia diventa un freno alla possibile ripresa economica, spiega Simone Mori, presidente uscente di Elettricità Futura, l’associazione di Confindustria che riunisce produttori di energia elettrica da fonti rinnovabili e convenzionali. Il passaggio di testimone con Agostino Re Rebaudengo avverrà nell’assemblea di luglio.
Da quando l’associazione è
nata, nel 2017, il mondo dell’energia si è trasformato. «Siamo stati i primi in Europa — ricorda Mori — a mettere insieme le grandi imprese energetiche tradizionali con le nuove impegnate nelle rinnovabili. Il processo in corso va in tre direzioni: crescita delle fonti verdi per arrivare a coprire la domanda energetica; elettrificazione dei consumi; digitalizzazione di tutti i processi industriali e commerciali». Questa trasformazione però va finanziata. Secondo
Elettricità Futura gli investimenti cumulati necessari nel periodo 2019-30 per raggiungere gli obiettivi del Piano nazionale integrato energia e clima, considerando anche quelli «inerziali» per le reti, ammontano a circa 82 miliardi, di cui circa 55 miliardi addizionali a fronte dei 48 previsti. «Se guardiamo solo al prossimo biennio, il rilancio del Paese passa attraverso la possibilità di accelerare gli investimenti previsti dal piano di decarbonizzazione, senza necessità di sostegni economico finanziari, ma lavorando sulle semplificazioni burocratiche, con un importo complessivo di circa 40 miliardi, un impatto sul Pil di 50 miliardi e oltre 300 mila lavoratori coinvolti».
Le procedure autorizzative sono «il gap più rilevante che ci separa dal raggiungimento degli obiettivi al 2030»: «Bisogna superare i problemi delle diverse disposizioni applicate in maniera non uniforme sul territorio o sulla scorta delle specifiche competenze dei singoli enti preposti, garantire la certezza dei termini e introdurre dove possibile tempistiche accelerate». I ritardi hanno effetti anche sulle tecnologie. «Gli iter autorizzativi hanno tempi medi ben più lunghi rispetto a quelli previsti dalle norme, in certi casi anche di 4-5 anni — sottolinea Mori —. Il rischio è che questi ritardi conducano a un disallineamento con la rapidità dello sviluppo tecnologico, comportando l’autorizzazione di progetti basati su macchine già “vecchie”». Il processo di decarbonizzazione sarà vantaggioso anche per la bolletta: «Il costo complessivo dell’energia elettrica si ridurrà — conclude Mori — a parità di costo del gas, di circa 3,2 miliardi di euro al 2030 e di 8,6 miliardi di euro al 2032».