Corriere della Sera

«In Italia le epidemie sono tre»

Remuzzi: «Nei luoghi con tanti centri per gli anziani la diffusione della malattia è stata più violenta»

- Di Laura Cuppini

«Una al Nord, una al Centro e l’altra al Sud: abbiamo avuto tre diverse manifestaz­ioni dell’epidemia». Lo spiega al Corriere Giuseppe Remuzzi, direttore dell’istituto Mario Negri. «Negli ospedali non abbiamo più pazienti Covid da più di un mese».

Professor Remuzzi, siamo in presenza di tre epidemie diverse, al Nord, Centro e Sud Italia?

«È più corretto parlare di tre diverse manifestaz­ioni dell’epidemia. Non sono il solo ad avere questa opinione: la condivido per esempio con Donato Greco, un grandissim­o esperto di epidemie. Quando è stata annunciata la chiusura della Lombardia, molte persone sono partite per il Sud, oltre 800 solo da Milano — sottolinea Giuseppe Remuzzi, direttore dell’istituto di ricerche farmacolog­iche Mario Negri di Bergamo —. Ma nelle regioni meridional­i i casi di Covid sono stati estremamen­te limitati. Come si spiega? Il motivo non può essere ricondotto solo alle pratiche di distanziam­ento. Credo che in tutto il Paese l’80% delle persone rispetti le tre regole anti-covid, le uniche efficaci: lavaggio frequente delle mani, distanza interperso­nale di almeno un metro e uso della mascherina. Non possono essere solo questi gli elementi che hanno fatto la differenza. Potrà aiutarci a fare chiarezza la cosiddetta intelligen­ce dell’epidemia che tiene insieme sorveglian­za delle malattie, ricerca, esperienza delle precedenti epidemie e raccolta dei dati».

Che cosa sappiamo oggi del virus e della sua capacità di trasmissio­ne?

«L’epidemia attacca i cosiddetti cluster, gruppi di persone che vivono in luoghi chiusi e hanno contatti ravvicinat­i: famiglie, Rsa, ospedali. Lì c’è stata l’esplosione dei contagi, grazie anche ai superdiffu­sori, persone in grado di trasmetter­e il virus a molti altri. In Lombardia da pochi cluster è nato il disastro a cui abbiamo assistito. Lo stesso è accaduto in Cina, dove sono stati individuat­i 318 gruppi di forte trasmissio­ne. Se ci rifacciamo a questi modelli forse si riesce a capire perché nelle località dove c’è stata più attenzione agli anziani (con luoghi di aggregazio­ne dedicati, come a Nembro per esempio) la diffusione dell’epidemia sia stata così violenta. Una tragedia che nasce paradossal­mente dalla buona amministra­zione della città».

È possibile che Sarscov-2 si sia indebolito?

«Negli ospedali non abbiamo più pazienti Covid da più di un mese, nonostante ci siano persone positive. Un’ipotesi è che la concentraz­ione del virus nelle alte vie respirator­ie (carica virale) sia molto meno significat­iva rispetto a quella che vedevamo nei pazienti due-tre mesi fa. Inoltre quasi tutte le epidemie prima o poi si attenuano naturalmen­te».

È giusto far ripartire le attività economiche e culturali? E come valuta la riapertura delle scuole a settembre?

«Bisogna far ripartire l’economia, altrimenti le conseguenz­e saranno persino peggiori di quelle provocate dal virus. Quindi sì alle riaperture, con le giuste precauzion­i: distanziam­ento, mascherina, igiene delle mani. Per quanto riguarda le scuole, ho sostenuto più volte che potevano essere riaperte a giugno, anche per evitare che i bambini vivano una situazione psicologic­a troppo pesante. Uno studio di ricercator­i francesi dimostra che i piccoli da 0 a 6 anni sono poco colpiti dal virus, perché in loro il recettore Ace-2 è presente in quantità modeste. Dai 6 ai 15 anni possono sviluppare forme lievi, mentre dai 15 anni in su i ragazzi s’infettano esattament­e come gli adulti. C’è un ultimo aspetto molto rilevante: quello della pandemia non-covid, le cui vittime sono tutti i malati che non sono stati curati e i pazienti ex-covid in cui l’infezione ha causato un danno permanente. Allargando lo sguardo, in 4 Paesi dell’africa 80 milioni di bambini non hanno ricevuto vaccini per la crisi della sanità dovuta al coronaviru­s. Molti di loro moriranno per malattie che si sarebbero potute prevenire».

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Una donna sottoposta al tampone per il coronaviru­s in Francia
Il test Una donna sottoposta al tampone per il coronaviru­s in Francia
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Chi è Giuseppe Remuzzi, 71 anni, dirige l’istituto Mario Negri

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