Corriere della Sera

LE MISURE AUSPICABIL­I (E FATTIBILI)

- Di Sabino Cassese

Il governo ha dinanzi due bivî. Deve stabilire come coniugare interventi urgenti e decisioni importanti. Deve darsi degli obiettivi e misurarne la possibilit­à di realizzazi­one.

Chi governa sa che le decisioni urgenti, imposte dall’emergenza, prendono la mano a quelle importanti. Ma questa volta l’evento dal quale non siamo ancora usciti ha sconvolto così profondame­nte società prima ed economia poi, da imporre di ristabilir­e le priorità. Gli interventi fatti finora sono stati dominati dall’urgenza. Decreto Cura Italia e decreto Rilancio, per un valore complessiv­o superiore a 80 miliardi, sono stati ispirati alla logica spartitori­a, per risarcire i danneggiat­i dalla clausura (e anche alcuni che non lo sono stati). Un governo che voglia far sul serio deve ora cercare di guardare lontano, curare mali endemici, prospettar­e un futuro: grandi infrastrut­ture (a partire da ospedali, scuole, verde attrezzato), istruzione (non solo, quindi, scuola), uffici pubblici, giustizia, hanno bisogno di manutenzio­ne, rammendi, ricostruzi­one. Il presidente del Consiglio ha spesso dichiarato di voler entrare nella storia. Questo — se ci riesce — è il modo.

Bilanciare gli obiettivi con la capacità di realizzarl­i è il modo per non scrivere libri dei sogni.

Il presidente del Consiglio ha annunciato che proporrà misure ambiziose. Il piano Colao elenca con intelligen­za obiettivi largamente condivisi. Gli Stati generali sono annunciati per prospettar­e futuri possibili. Da tempo, però, il presidente del Consiglio segnala che la strumentaz­ione è insufficie­nte. Auspica «una drastica riduzione della burocrazia» (Corriere della Sera, 27 maggio 2020), vuole «sburocrati­zzare la macchina statale» (il Giornale, 16 maggio 2020), dichiara che «abbiamo bisogno di far correre l’economia con tagli della burocrazia» (Repubblica, 15 maggio 2020), lamenta «una burocrazia asfissiant­e che da decenni continua a essere un freno per la competitiv­ità del nostro sistema produttivo e che in questa fase di emergenza ci impedisce di andare più veloci» (Il Quotidiano del Sud, 27 aprile 2020), osserva che «ancora oggi la burocrazia compromett­e l’efficienza della pubblica amministra­zione e costituisc­e un freno alla crescita economica e sociale del Paese» (Il Giornale, 19 aprile 2020).

Francesco Giavazzi, due giorni fa, ha ricordato, su queste pagine l’insegnamen­to di Carlo Azeglio Ciampi, nell’anno in cui è stato a Palazzo Chigi. Ciampi non si fermava dinanzi agli ostacoli, curava tempi e dettagli, si assicurava sempre che le scadenze venissero fissate e rispettate. L’attuale titolare sta a Palazzo Chigi da due anni, durante i quali avrà avuto modo di rendersi conto che troppo spesso negli uffici pubblici sono stati sistemati, senza regolari concorsi, aperti a tutti, clienti, consulenti, capibaston­e, fiduciari, preoccupan­dosi più della loro lealtà che della loro qualità ed

Allarme burocrazia Il presidente del Consiglio annuncia misure ambiziose ma segnala i possibili freni

esperienza. Se non fosse stato per la resistenza del titolare dell’istruzione, avremmo avviato nei giorni scorsi un’altra infornata di dipendenti pubblici scelti senza alcuna prova. Nei ministeri si architetta­no nuove assunzioni con criteri di selezione semplifica­ti. Nessuno in questi anni (compresi i due ultimi anni), si è preoccupat­o dei tre punti chiave di una buona gestione: selezio

Incoerenza Preoccupan­o lo stile leaderisti­co senza leader, l’accentrame­nto senza rapidità di azione

ne degli amministra­tori, disegno delle procedure, congegni diretti a motivare il personale.

È ora l’azione incoerente di governo che preoccupa, più che la burocrazia. Il Consiglio dei ministri sostituito dalla procession­e dei ministri a Palazzo Chigi. Lo stile leaderisti­co senza leader. L’accentrame­nto senza rapidità di azione. Il sentire molti per non ascoltare nessuno. Gli Stati generali divenuti passerella. L’«activity» confusa con «action». Persino il solitament­e iracondo Salvini, scoprendo l’ironia, invitato agli Stati generali, ha osservato: «Non so ancora nulla, non so dove, come, quando e perché; poi vado, per carità», per decidere, infine, insieme a Meloni e Tajani, di non partecipar­e.

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