Corriere della Sera

Parole violente Una maratona per dire «no»

Domani il film-maratona sul sito del «Corriere» con la lettura di brani di «Odiare l’odio»

- Di Walter Veltroni

L’odio non è un virus. È una malattia sociale. Nasce e si diffonde con la velocità di un’epidemia quando le crisi sociali si manifestan­o con maggiore virulenza.

L’odio è figlio della frustrazio­ne, della rabbia, dell’ingiustizi­a. Quando la democrazia, e le idee politiche, sono forti, esse si mostrano capaci di convogliar­e queste insofferen­ze verso razionali sbocchi. Altrimenti l’odio galoppa, diventa sentimento abituale, norma codificata delle relazioni sociali.

L’odio, come fenomeno collettivo, si manifesta nei confronti di chi è diverso da sé. Il colore della pelle, la religione praticata, le idee politiche, quelle sportive sono buone ragioni per scagliarsi contro l’altro. Ciò che sta accadendo ai neri d’america, i rigurgiti antisemiti in giro per l’europa, ciò che è successo ai cristiani in tanti Paesi,

ciò che hanno voluto dire gli attentati dell’estremismo islamico o quelli del terrorismo nell’italia degli anni settanta e ottanta rispondono tutti alla stessa, inossidabi­le, convinzion­e: «Io sono la verità, la normalità, ciò che ha diritto di vivere. La mia è la verità assoluta e tu, che ne vivi un’altra, sei nient’altro che un ostacolo da rimuovere, un fastidio, un inutile intralcio alla piena affermazio­ne del mio potere».

Il 12 giugno è la data in cui nacque Anne Frank. Ed è la data in cui lei, bambina, iniziò il suo diario. Anne morì a quindici anni e mezzo a Bergen Belsen. La sua vita, come quella dei tanti deportati italiani, fu uno strazio. Perché era ebrea e questa identità non poteva essere tollerata dalla mostruosit­à della «difesa della razza» teorizzata dagli aguzzini nazisti e dai fascisti italiani. Dall’odio sono nati i campi di sterminio e i gulag staliniani. O le fosse comuni dei Balcani. Dall’odio nasce la perdita di umanità di cui siamo pervasi.

Nel libro che venerdì sarà letto sul sito del Corriere da tanti testimoni o vittime dell’odio e da tanti protagonis­ti della cultura, che ne è il principale antidoto, ricordo come questa bava livida sia entrata nella rete, spingendo persino esseri umani a gioire per la morte di questo o di quello, come fosse normale. La rete è nata per unire, per mettere in relazione. Invece è diventata una somma di recinti dai quali si getta olio bollente sui presunti avversari.

L’odio produce odio. In una pericolosa omologazio­ne di linguaggi. Ai quali è dovere civile sottrarsi. Non è la maggioranz­a, quella degli odiatori. Ma fa rumore, la violenza di quelle parole.

Usarne altre, sottrarsi, anche individual­mente, a questa facile e comoda deriva — l’odio fa ascolti — è un modo per dare forma a un’idea della vita.

Farlo è il modo per non dover mai dire, del tempo in cui si vive: «Non riesco a respirare».

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