Giù le mani dalla statua di Montanelli nella sua Milano
La piattaforma Hbo cancella il film. Prendersela con i simboli, però, è troppo facile
Giù le mani da Montanelli. Espellere la statua dai giardini milanesi che portano il suo nome — come chiedono gli ineffabili «Sentinelli» — non è soltanto sbagliato. Sarebbe assurdo, offensivo e controproducente.
C on la puntualità delle scadenze fiscali, torna la polemica su Via col vento. L’ultimo a sollevarla è stato John Ridley, lo sceneggiatore di 12 anni schiavo, che con un appello sul «Los Angeles Times» ha chiesto di boicottare il film probabilmente più celebre di tutta la storia del cinema americano. E a fare i debiti raffronti con l’inflazione, anche quello di maggior incasso.
Questa volta, a dar retta alla richiesta è stata la piattaforma Hbo Max, che ha tolto il film con Scarlett O’hara e Rhett Butler dalla disponibilità dei suoi utenti, sostenendo che «senza spiegare e denunciare [il razzismo di] questa rappresentazione sarebbe stato irresponsabile» e che lo rimetterà in streaming «contestualizzandolo e risituandolo nel suo periodo storico».
In effetti il romanzo di Margaret Mitchell prima (pubblicato
La vicenda
● Lo sceneggiatore di «12 anni schiavo» aveva scritto un appello sul Los Angeles Times perché l’hbo rimuovesse dalla sua piattaforma di streaming «Via col Vento»
● L’hbo ha annunciato che il film del 1939 verrà tolto e reinserito solo contestualizzando gli stereotipi razzisti che lo pervadono nel 1936) e il film di Victor Fleming dopo (uscito nel 1939) raccontavano un’america dove il razzismo era dato per normale, dove la servitù di colore si rivolgeva nei modi più deferenti (e sgrammaticati) possibile ai padroni e soprattutto dove i valori del Sud schiavista non erano mai messi in discussione. Anzi, sottilmente esaltati.
Inevitabile che questo monumento della Hollywood più spettacolare e fantasmatica (otto Oscar, per molti critici un capolavoro, per il pubblico un film che a ogni passaggio, anche televisivo, fa segnare record d’ascolto) finisse nel mirino di chi vorrebbe cancellare i segni di un passato offensivo e umiliante. In ottant’anni di vita, ancorché immaginaria, ha assunto la forza di un simbolo e come tale è facile da colpire ed esecrare. Anche perché in fatto di stereotipi — e non solo razzisti — è un vero campionario. Eppure queste «petizioni», questi appelli alla cancellazione, hanno dentro di loro qualcosa di discutibilmente contraddittorio e di ambiguamente rassicurante. Come se, chiudendo in un cassetto Via col vento, si potesse ottenere di cambiare la storia degli Stati Uniti e d’un colpo cancellare il razzismo che fino a ieri ha segnato la storia del Paese. E che non ha ancora smesso di farlo.
Prendersela con i simboli è facile, scandalizzarsi per le frasi sgrammaticate di Mami ancora di più, ma si potrebbe scommettere che Derek Chauvin, il poliziotto che ha causato la morte di Floyd, non è diventato quello che è per aver visto Via col vento. Forse non sa nemmeno cosa sia. Non è stato abbattendo le statue di Stalin e Lenin che gli abitanti dell’ex Unione sovietica hanno cambiato all’improvviso il loro modo di pensare e di comportarsi, così come non è invitando a boicottare Via col vento che non succederanno più drammi come quello di George Floyd. Ben altri sarebbero gli appelli da fare rispetto alla cultura del razzismo in America e ai suoi «campioni». Ben altre le riflessioni da pretendere. Come quella di Spike Lee che nel suo ultimo film Do 5 Bloods
Il razzismo oggi
Non è così che non succederanno più drammi come quello di George Floyd
- Come fratelli mette in testa a uno dei protagonisti di colore un cappellino con la scritta trumpiana «Make America Great Again». Magari le contraddizioni e i problemi dell’america si potessero risolvere proibendo Via col vento.