Corriere della Sera

«Dissero a papà che era solo febbre»

- A. D. L.

Nicolas Invernizzi, di Azzano San Paolo, alle porte di Bergamo, ha compiuto 18 anni cinque giorni dopo la scomparsa del papà Armando, 66 anni, artigiano, morto all’ospedale Papa Giovanni XXIII il 27 marzo. Lui, il ragazzo, la mamma Claudia Plazzoli, infermiera alla Rsa di via Gleno a Bergamo, e le due sorelle Chiara e Sara, non sono mai stati sottoposti al tampone. «Papà era in salute, non aveva mai fumato, nessun problema — racconta Chiara fuori dalla Procura, dopo aver presentato il suo esposto contro ignoti —. La prima sera in cui aveva un po’ di febbre, il 22 febbraio, stava ancora lavorando e aveva “distrutto” un armadio da buttare con le sue mani, stava lavorando a un trasloco».

La febbre non andava via. Ma il medico di base e gli operatori telefonici dei numeri verdi a disposizio­ne «ci dicevano che non era coronaviru­s, di tenerlo a casa — prosegue Chiara —. I giorni passavano e dopo quasi una settimana di febbre alta mia madre ha deciso di salire in macchina e di portare il papà al Papa Giovanni, il 28 febbraio. Era positivo, erano i primi giorni dell’emergenza: è stato il quarto paziente colpito dal Covid-19 arrivato all’ospedale di Bergamo». Armando Invernizzi ha potuto comunicare con le figlie e la moglie solo per cinque giorni, fino al 4 marzo, quando è stato trasferito in terapia intensiva, nei giorni in cui il Papa Giovanni si stava trasforman­do in un avamposto contro il coronaviru­s, fase culmine dell’epidemia. «Da allora non l’abbiamo più sentito — prosegue ancora Chiara —. Un giorno ci dicevano che migliorava, un altro che non ce l’avrebbe fatta: non riuscivamo più a capirci nulla. È morto il 27 marzo e l’abbiamo visto per cinque minuti: era irriconosc­ibile, 25 chili in meno, non era il papà che conoscevam­o». Il 30% dell’area polmonare danneggiat­o da trombosi: una conseguenz­a del virus che nella prima fase dell’emergenza non si conosceva, svelata più avanti solo grazie alle autopsie fatte proprio al Papa Giovanni e al Sacco di Milano.

«Anche qui, dico, perché non si potevano fare subito le autopsie per capire? — chiede Chiara —. Non denunciamo il Papa Giovanni, ma un sistema che non ha messo in condizione di lavorare anche il nostro ospedale».

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