Legge anti omofobia, la Cei si schiera contro: rischio di condanne per opinioni legittime
ROMA Una legge contro l’omofobia «non serve», anzi «rischia derive liberticide». La Conferenza episcopale italiana interviene con una nota per contestare una legge che ancora non c’è, visto che al momento ci sono cinque proposte di legge e soltanto martedì si arriverà a un testo base, che sarà votato poi il giorno dopo alla commissione Giustizia della Camera. Un attacco preventivo che suscita «sorpresa» nel centrosinistra e trova d’accordo le destre.
Questo è l’ultimo episodio di un disagio crescente della Chiesa e segue l’irritazione per lo stop alle funzioni religiose durante la pandemia. I vescovi — pur ribadendo il no a ogni discriminazione — contestano l’esigenza di una legge, perché «esistono già adeguati presidi con cui prevenire e reprimere ogni comportamento violento o persecutorio. Non c’è alcun vuoto normativo e non c’è urgenza di nuove disposizioni». Non solo: «L’eventuale introduzione di norme incriminatrici rischierebbe di aprire a derive liberticide. Si finirebbe col colpire una legittima opinione, come insegna l’esperienza di altre Nazioni». Riferimento alla Spagna, dove il cardinale Fernando Sebastián Aguilar è stato indagato per omofobia. Per la Cei la legge punirebbe «come reato di opinione chi ritiene che la famiglia esiga per essere tale un papà e una mamma. Ciò limita la libertà personale, le scelte educative, il modo di pensare e di essere, l’esercizio di critica e di dissenso». Mettendo a rischio «la democraticità del Paese».
Le proposte sul tema dell’omotransfobia sono cinque, a firma Alessandro Zan e Laura Boldrini (Pd), Mario Perantoni (M5S), Ivan Scalfarotto (Italia viva) e Giusi Bartolozzi (Forza Italia). Il giurista, d’area leghista, Mauro Ronco, aveva spiegato alla Camera «che si vuole censurare chi critica i disturbi sessuali». La proposta di Zan, relatore del testo base, prevede un allargamento delle sanzioni previste dalla legge Mancino contro la discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi alle fattispecie connesse a omo e transfobia. Il quotidiano Avvenire (Cei) riferisce che secondo i dati del Viminale ci sono «solo» 26,5 reati all’anno di questo tipo.
Zan smentisce la fondatezza delle critiche: «Come forma di garanzia, avevamo già escluso l’applicabilità del comma a del 604bis del codice penale che punisce la “propaganda d’odio”. Perché è una norma al limite della libertà di espressione, anche se già la giurisprudenza ha limitato il suo raggio d’azione. Nelle proposte si punisce l’istigazione alla violenza». Irritata Francesca Businarolo, M5S: «Affermare che esistono già adeguati presidi per contrastare questo fenomeno significa non voler prendere atto di una dura realtà di discriminazione». Per Alessandro Pagano (Lega), la norma «è inutile e introduce uno psicoreato».
Il dibattito sui reati d’odio è antico. Cè chi ritiene sia necessario aggiungere un’aggravante se un reato è commesso per un motivo d’odio. E chi no, come Isabella Rauti e
Le reazioni
Il centrodestra applaude l’intervento dei vescovi. «Sorpresa» da Pd e Cinque Stelle
Franco Zaffini, di FDI: «Le persone indifese debbono essere tutelate in quanto persone e non in quanto appartenenti ad un gruppo specifico». Zan coglie una contraddizione: «Le vittime vulnerabili per avere una parità di trattamento devono avere una tutela rafforzata. Si può anche pensare che non sia necessario, ma allora per essere credibile la Cei dovrebbe chiedere l’abolizione anche della legge Mancino».